Oltre la solitudine dell'Io
Abstract
I Frammenti Pneumatologici di F. Ebner e la Stella della Redenzione di F. Rosenzweig,
pubblicati entrambi nel 1921, delineano i contorni di un nuovo pensiero: il pensiero dialogico.
Questo si sviluppa nel contesto teoretico della crisi della ragione e della nietzscheana
destrutturazione del cogito. L'uomo conosce la lacerazione nel proprio intimo. Essa riguarda la
consapevolezza che ha di se stesso. Non si può nutrire più nessuna ingenua sicurezza dopo il
fallimento della storia e dopo la storia dei fallimenti delle molteplici visioni ideali. Tuttavia, fra i
dialogici e Nietzsche, c'è, a fare la differenza, l'esperienza diretta della fine di un mondo.
Nietzsche l'aveva preconizzata, ma i dialogici l'hanno vissuta. Per essi, sono gli avvenimenti
tragici della guerra a segnare l'uscita dal mondo delle certezze, dai saperi onnicomprensivi, dalle
ideologie risolutive. Al posto del nulla universale sono subentrati, scrive Rosenzweig, “ le
mille morti reali di mille morti reali”, che sono “mille nulla” reali, non un unico nulla
astratto.
Alla luce della fattualità, il nulla è più del suo concetto, ma di fronte a questi mille nulla
reali, emerge una forte domanda di senso. Essa, per i dialogici, contiene già una risposta,
che non è rinvenibile in un'idea o in un sistema, ma piuttosto in un orientamento verso il Tu,
come scrive Ebner. Il pensiero dell'Io, di cui è massima espressione l'idealismo, è rimasto,
infatti, fermo al concetto di un Io che si riferisce a se stesso, credendo di trovare in sé la propria
sufficienza e assolutezza. Il nichilismo ne ha saggiato il limite e lo ha deposto, ma non è andato
oltre. Esso si è fermato all'io e alla sua solitudine.
Ebner, invece, intende andare oltre la solitudine dell'io.
Quello che rigetta, fin dall'inizio, è che l'Io non è né può divenire autarchico. La sua non
autosufficienza è strutturale. L'affermazione Io sono, non è né può essere intesa, quindi, nel
senso dell'autoaffermazione. Il confronto con l'esistenza mostra, infatti, che il soggetto si
afferma in maniera derivata: Io sono, non in modo assoluto, ma perché sono dato a me
stesso. Compresa nel suo significato originario, l'affermazione Io sono ha, quindi, un valore
di espressione che si dirige oltre l'io, in direzione del Tu. E' invocazione e grido di aiuto.
L'Io è costitutivamente direzionato e si dice in presenza di un Tu, di fronte ad un Tu.
L'aver dimenticato questo è il tratto comune del pensiero occidentale. Pertanto, la sua è la
storia di una dimenticanza, che non è quella dell'essere, come per Heidegger, ma quella del
Tu. Il Tu è l'assente della modernità!
Il nucleo di questa storia di dimenticanza è individuabile nel fatto che il pensiero moderno ha
pensato nei termini della centralità dell'io. L'io è diventato fondamentale sia sotto il profilo teoretico
sia sotto il profilo etico. Contestualmente, è andato perdendo i caratteri concreti legati alla prima
persona ed è stato posto come assoluto ed impersonale. Non a caso, lo si è riferito in terza persona.
Ne è scaturito come estrema conseguenza l'esclusivismo della ragione, che si è imposto tanto nei
sistemi idealistici, in cui il particolare è stato assorbito nell'universale, quanto nel determinismo
scientifico.
Questa riscoperta del Tu equivale in Ebner alla riproposizione dello spirituale. “Lo
spirituale nell'uomo, l'Io, ha bisogno per vivere del rapporto con il Tu”, ma “il vero tu dell'io
nell'uomo” non è altri che Dio – scrive. Pertanto, l'uomo è essenzialmente un cercatore di Dio.
Quanto a Dio, in nessun modo potrà essere confuso con un'idea o con un'entità astratta. Dio
non è esprimibile in terza persona, perché è un Tu, non un Egli. “Dio non è, ma Tu sei”,
quindi.
Anche su questo punto troviamo una stupefacente consonanza con Rosenzweig, per il quale i l
religioso abbandona il suo ruolo classico, "confessionale", per assumere un ruolo centrale,
addirittura ontologico. Vale come tessuto connettivo dell'essere, coincidendo con le pulsazioni
profonde della vita. In nome di questo Rosenzweig articola la proposta di una veritá forte ed osa
indicare una via d'uscita religiosa dalla crisi irreversibile della modernitá.
Ebner non si ferma ad enunciare lo spirituale in astratto. Egli si sforza di riscontrarlo, per
così dire, fenomenologicamente, nel suo darsi, nel suo realizzarsi in quelle realtà spirituali che,
non a caso, compaiono già nel titolo dell'opera (“La parola e le realtà spirituali. Frammenti
pneumatologici”). Il rischio che lo spirituale sfumi in concettosità o in sentimentalità priva di
concretezza gli è senz'altro presente. Rinviene, quindi, l'estrinsecazione del rapporto dell'Io verso
Dio nella parola e nell'amore. “L'Io e il Tu - vale a dire in ultima istanza l'uomo e Dio - queste
realtà della vita spirituale trovano nella «parola» la loro esistenza «oggettiva», come nell'amore
quella «soggettiva»” - scrive. Parola e amore “vanno assieme”. Entrambi liberano dalle
preclusioni mentali. Entrambi conducono oltre la solitudine dell'io. Fra essi si dà, anzi,
complementarietà, perché quanto è “oggettivamente-dato-nella-parola”, riceve “la sua
sussistenza «soggettiva» nell'amore”. La parola istituisce un medium, una relazione che unisce
l'uomo a Dio e l'uomo all'altro uomo. L'amore invera la parola. Le dà spessore, perché la parola,
sgombrato il campo da ogni possibile equivoco, è amore. Essa nel suo significato ultimo è la
Parola-Logos che “era in principio presso Dio ed era Dio” e che “si fece carne e venne a
mettere le tende in mezzo a noi”, come scrive Giovanni nel Prologo del suo Vangelo.
L'amore è il motivo di Dio ed è il senso di tutto. Nel rispetto dell'uomo concreto, esso
realizza la forma di comunicazione più profonda, che supera la distanza che divide
dall'altro, dilatando l'io al di là del proprio mondo chiuso. Nell’amore l’altro diventa il
prossimo, che chiama a fare esodo dall'egoismo, a superare le barriere dell’incomunicabilità
e della diffidenza, a infrangere la prigionia dell'individualità.
Rosenzweig, similmente, individua la parola e l'amore quali elementi fondamentali della
rivelazione e della redenzione. Con la rivelazione Dio promuove l'uomo a suo tu, facendogli
dono del linguaggio e costituendolo persona, ossia individuo non immerso nella specie. Con la
redenzione l'amore si dilata, coinvolgendo e comprendendo tutti gli uomini e tutte le creature.
Infine, l'amore indica “l'eterna vittoria sulla morte”.
Il “timore della morte” è ciò che muove la filosofia. Essa pretende di vincere la morte con il
sapere, ma non riesce, perché, finché l'uomo vive sulla terra è destinato a “ rimanere in questa
paura”. Tutto, infatti, accade sotto il marchio della morte, compresa ogni nuova nascita, che
non fa che accrescere “il numero di ciò che deve morire”. Ma la morte non ha l’ultima parola né
è l’ultima realtà. Alla morte, infatti, “l'amore dichiara battaglia”. E, se la morte è “chiave di
volta dell'oscura voluta della creazione”, l'amore è “la pietra di fondamento della luminosa
dimora della rivelazione”. “La creazione, che la morte corona e conclude, non può tener testa
all'amore, deve arrendersi ad esso ogni istante e perciò, alla fine, anche nella pienezza di tutti
gli istanti, nell'eternità”.
Ora, per il cristiano, Ebner tutto questo si è realizzato in Cristo. Sulla croce la Kenosi di
Dio, la sua compromissione con il mondo, ha raggiunto il suo punto culminante. Essa non
indica solo l'assunzione della sofferenza e della morte da parte di Dio nella persona del
Figlio, ma precisamente la vittoria dell'amore sulla morte, l'intronizzazione di un amore tale
da vincere la morte. [a cura dell'autore]