L'aggressività interpersonale: dalla ricerca alla progettualità educativa
Abstract
Il mio lavoro di ricerca si presenta come luogo di riflessione su di un aspetto sociale, così diffuso,
qual è l’aggressività interpersonale.
Rispetto a tale problematica, ho cercato, partendo da un’ analisi teorica, di privilegiare l’aspetto di
una progettualità educativa, elaborando possibili azioni e atteggiamenti, tesi a ridurre le espressioni
dirette o indirette dell’aggressività.
In una società che presenta un contesto etico valoriale poco forte e che diventa giorno dopo giorno
sempre più multietnica e multiculturale, sorgono facilmente incomprensioni, pregiudizi e
intolleranze.
Le diversità socio-culturali sfociano, sempre più spesso, in manifestazioni di aggressività, anche in
persone che, a prima vista, possono apparire pacifiche e ben educate.
Diventiamo sempre più intolleranti, cioè incapaci individualmente e collettivamente, a vivere
pacificamente con coloro che credono ed agiscono in maniera diversa dalla nostra.
Per far fronte a questo preoccupante fenomeno, che investe ogni categoria sociale, sono necessari
diversi ed articolati interventi socio-culturali per educare alla tolleranza, alla pace , alla socialità,
alla legalità: valori strettamente collegati e non dissociabili l’uno dall’altro.
Proprio per questo, negli ultimi anni si pone particolare attenzione a ciò che viene definito
educazione, soffermandoci in modo particolare sul concetto di «emergenza educativa» che viene
posto al centro del dibattito pedagogico contemporaneo e di come l'educazione delle giovani
generazioni sia diventato un problema sempre più delicato e difficile da affrontare.
Quello che stiamo vivendo è un momento particolare della storia e, come in ogni periodo di
transizione, l'uomo si trova di fronte a situazioni e problemi che non è in grado di gestire
completamente; i cambiamenti non solo sono tanti e di ampio rilievo, ma si susseguono anche a un
ritmo frenetico, accavallandosi spesso gli uni agli altri.
Bisogna soprattutto educare a vivere nel cambiamento: i vorticosi cambiamenti interpellano,
provocano, sfidano la nostra capacità di sapere, di fare, di essere, di saper vivere insieme con gli
altri. In queste situazioni, la vita è un processo costante per acquisire il necessario per il proprio
sviluppo globale, un viaggio di continua scoperta di senso e di valori, un'esperienza della diversità
e della capacità di armonizzazione, consapevoli della propria identità e pronti a scoprire e a vivere
nuovi percorsi di identificazione. La sfida più difficile oggi è riuscire ad attivare e realizzare
l’educazione nella complessità e alla complessità, che non si riduca a un adattamento, ma che sia
capace di interiorizzare la varietà, e diventi capace di confrontarsi con il cambiamento in modo
critico e creativo.
Occorre riportare l'educazione al centro della riflessione e dell'agire quotidiano nella convinzione
che proprio nell'educazione si trova la chiave capace di ridefinire in positivo il futuro della nostra
società. L’educazione come evento passa sempre attraverso relazioni
La relazione si pone come luogo di cura e “aver cura della relazione, educare ad averne cura può
porsi come compito progettuale della pedagogia.
Il termine relazione è quello che meglio esprime quelle condizioni necessarie perché un rapporto
tra due persone sia definito educativo
Relazione è, quindi, un termine che ha conosciuto, conosce e conoscerà sempre una legittimazione
più che giustificata, infatti è difficile concepire un pensare, un fare, un dire, un insegnare, un
educare o un curare prescindendo dalla categoria di relazione.
La relazione non è solo un fatto cognitivo, intellettualistico, ma è sempre anche un fatto
emozionale: la capacità di pensare dipende dal sentire e dal capire quello che ci accade dentro: noi
possiamo pensare solo se siamo in contatto con le nostre emozioni ed è solo lo sviluppo
dell’affettività e dell’emotività, la capacità di contenerle ed elaborarle che ci permette di pensare e
di apprendere
Le emozioni , grazie all’apporto di numerosi studi e ricerche, sono state riconosciute come la trama
fondativa e unitaria del sé sulla quale si costruisce l’identità della persona, determinando le scelte e
il pensiero ed influendo sull’apprendimento.
Tra i processi emotivi e l’apprendimento esiste una profonda connessione, poiché esso si sviluppa
sempre all’interno di una relazione affettiva.
Il fattore emozione costituisce, pertanto, l’elemento centrale intorno al quale è possibile organizzare
e sviluppare una tipologia di competenze educative comprendenti la conoscenza di sé, la
comunicazione e l’ascolto, le capacità relazionali e le abilità di aiuto, le strategie di gestione del
disagio e delle conflittualità che si verificano in ogni ambito sociale.
I numerosi progetti di alfabetizzazione emozionale che da alcuni anni si stanno realizzando nelle
scuole con l’intento di coltivare l’equilibrio emotivo e di costituire una vaccinazione psicologica
contro il disagio, trovano riscontro nelle concezioni di Daniel Goleman che ha formulato una nuova
teoria della mente emozionale, definendo come il repertorio comportamentale dell'uomo sia in
buona parte determinato dalle emozioni.
L'emozione, dunque, non è soltanto valutazione e adattamento ad una situazione o a un contesto,
non è più una semplice reazione all'avvenimento, o tendenza all'azione, è anche e soprattutto un
processo relazionale che consente ai protagonisti di trasferire, di rimettersi in questione, offrendo
loro la possibilità di ri-negoziare un nuovo rapporto con l'altro, con il mondo e con sé stesso.
Il tema dell’aggressività e del comportamento aggressivo è stato analizzato prendendo in
considerazione gli studi più significativi a vari livelli: neurofisiologico, etologico, psicologicosperimentale,
psicoanalitico.
Nella società odierna, qual è quella del terzo millennio, si assiste ad una recrudescenza della
violenza gratuita, dove per un nonnulla scatta l'aggressività. Attribuire un preciso significato alla
parola aggressività risulta molto complesso.
Molti Autori sulla base delle ipotesi e delle ricerche fino ad ora formulate, nel definire il concetto di
aggressività, hanno cercato di cogliere le diverse facce che questo fenomeno può assumere nella
persona umana.
L’aspetto più vivo e stimolante del loro modello interpretativo, come si evince dall'analisi condotta,
è nella concezione bipolare dell’aggressività, che vede in essa manifestazioni sia di tipo espansivo,
sia di tipo difensivo, considerate come momenti fondamentali del processo di adattamento
dell’individuo.
Agganciandoci alle più recenti ricerche etologiche, molti autori mettono in luce la funzione dei
legami associativi nella canalizzazione e nell’inibizione dell’aggressività e l’importanza
dell’identificazione con l’altro, della partecipazione e della condivisione di un sistema di valori.
Numerose sono le teorie elaborate sull’aggressività, teorie che si riflettono a livello educativo
nell’elaborazione di possibili percorsi educativi tesi a gestire i comportamenti aggressivi.
Ogni percorso educativo di tale genere deve tendere ad educare al rispetto della persona umana ed
al senso di responsabilità.
Tra gli interventi educativi possibili per far fronte soprattutto all’aggressività infantile vengono
proposti l’utilizzo della fiaba e del gioco simbolico.
Le fiabe parlano ai bambini in un linguaggio simbolico, è per questo che riescono ad attrarne
l’attenzione e a favorire l’immedesimazione, riducendo i conflitti interiori del bambino, placando
l’angoscia e offrendo soluzioni.
Nelle fiabe non è importante tanto il contenuto manifesto, esplicito, quanto il significato simbolico
comune in qualsiasi società ed epoca. Queste storie si occupano di problemi umani universali,
soprattutto di quelli che preoccupano la mente del bambino, e quindi parlano al suo Io e ne
incoraggiano lo sviluppo, calmando nel frattempo pressioni preconsce e inconsce.
Sono uno strumento educativo prezioso, rappresentano un punto di riferimento per la vita interiore
del bambino e la vita relazionale dello stesso con l’adulto. Il bambino ha bisogno di un’educazione
morale che velatamente, e soltanto per induzione, gli indichi i vantaggi del comportamento morale,
non mediante concetti etici astratti, ma tramite quanto gli appare tangibilmente giusto e quindi di
significato riconoscibile.
Per quanto concerne il gioco simbolico e la sua funzione nel controllare l’aggressività va
sottolineato come esso occupi un ruolo particolare, perché costituisce la modalità espressiva più
libera di cui il bambino dispone.
Il gioco simbolico consente al bambino di realizzare la propria soggettività e di svolgere quella
funzione che nell’adulto è svolta dal linguaggio interiore e dalla riflessione sugli eventi; aiuta a
trasformare una parte dell’impulso distruttivo in energia positiva e a realizzare così le proprie
potenzialità creative innate e le caratteristiche individuali di ciascuno.
Vengono, infine, presentate alcune strategie didattiche per gestire positivamente le emozioni.
I programmi di alfabetizzazione emozionale, o di efficacia nelle relazioni interpersonali, hanno un
obiettivo principale quello di consentire un'adeguata gestione dei sentimenti e lo sviluppo di
specifiche capacità, in modo tale che i processi cognitivi e di apprendimento, sia individuali che di
gruppo, si realizzino naturalmente e senza interferenze con maggiore successo.
Per costruire uno stato di salute emotiva e di benessere, i programmi devono presentare alcune
caratteristiche essenziali: aiutare i bambini a calmarsi quando provano rabbia, gelosia o eccitazione;
aumentare la consapevolezza degli stati emotivi degli altri; risolvere le difficoltà interpersonali
discutendo delle proprie sensazioni; consentire di pianificare e prevedere al fine di evitare situazioni
difficili; considerare quali conseguenze produce il proprio comportamento sugli altri.
Insegnare l'alfabeto delle emozioni è un processo simile a quello in cui si impara a leggere, poiché
comporta la promozione delle capacità di leggere e comprendere le proprie ed altrui emozioni e
l'utilizzo di tali abilità per comprendere meglio se stessi e egli altri.
Nelle ricerche finora svolte, i bambini allenati emotivamente mostrano maggiori capacità di saper
controllare e regolare il proprio stato emozionale, riescono meglio a calmarsi quando sono agitati, a
rallentare i battiti del cuore più in fretta rendendosi meno esposti alle malattie infettive; si
concentrano maggiormente e sono più attenti; si relazionano meglio con gli altri anche nelle
situazioni socialmente difficili, tipiche dell’infanzia; riescono a comprendere di più le altre persone
e stabiliscono rapporti di amicizia più solidi con i coetanei; presentano un buon rendimento
scolastico e sviluppano un’intelligenza emotiva.
Se cercheremo di aumentare l'autoconsapevolezza, di controllare più efficacemente i nostri
sentimenti negativi, di conservare il nostro ottimismo, di essere perseveranti nonostante le
frustrazioni, di aumentare la nostra capacità di essere empatici e di curarci degli altri, di cooperare e
di stabilire legami sociali - in altre parole, se presteremo attenzione in modo più sistematico
all'intelligenza emotiva -potremo sperare in un futuro più sereno. [a cura dell'autore]