dc.description.abstract | The aim of this dissertation is to contribute to the debate on the relationship between innovation and internationalization. After providing in Chapter 1 a comprehensive overview of the theoretical and empirical debate on this relationship, we investigate in chapter 2 the impact of being involved in international market on innovation disentangling different strategies of foreign activity in order to add empirical evidence to the branch of the literature on learning-to-innovate-by-internationalization (LIBI) (Chapter 2). Finally, in Chapter 3, we examine the role of persistency in both innovation and export activity to see if the long-lasting involvements ensure higher returns on productivity. We will go through these different steps using data on Italian manufacturing firms covering an eight year time-span (1998-2006), drawn from three waves (VIII, IX, X) of the AIDA Capitalia Survey of Manufacturing firms.
Going more in detail, in Chapter 1 we go through the debate going on in the literature in recent decades analyzing the change in theoretical perspective from an industry level approach that was in the vogue up to the end of ‘90s, to the growing importance of firms’ heterogeneity that has been introduced at start of the century. This change in perspective has been reflected in the empirical literature and we will see the different branches and the main contributions to them.
The contribution to the literature we want to give in Chapter 2 is not only focused on exports as in the majority of the works in this field (see for surveys Wagner 2007, 2012; and, for Italy, Gattai, 2015) but the novelty of our approach is to consider different level of involvements in international activities: export, FDI and outsourcing. Moreover, we measure the impact of these strategies on different kinds of innovation: first of all, we will see if and how each strategy influences innovation performance as a whole, then we distinguish between product and process innovation. Our estimation models have been carried out through complementary methodologies: starting, first of all,
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with probit estimation, then moving to propensity score matching estimation to cope with endogeneity issues, and finally also using Heckman correction to control for any selection bias due to unobservable. What comes out from our results is that: 1) both exports and FDIs have a positive impact on innovation and the latter strategy has also an higher impact on the probability of introducing innovation if we consider any type of innovation; 2) when we consider product innovation, exporting and investing abroad raise the probability of introducing such kind of innovation; 3) outsourcing, instead, shows positive and significant coefficient when we consider process innovation suggesting that firms contracting out to other partners some stages of the production may introduce some innovation to optimize the whole process. Then, since destination of international activities may influence the outcome, we also distinguish countries of destination in three different classes (EU15, Industrialized non-European countries and non-industrialized non-European countries) and we find, that exporters and FDI makers have higher probability to introduce innovation if they undertake their activities in countries outside the Europe, but, in particular and somehow surprisingly, exporting towards non-European and less developed countries raise the probability of introducing product innovation since firms have to face greater consumer heterogeneity in less-developed countries than in more developed ones, since Italian customers have more similar tastes to customers from developed countries so firms have to modify their products to meet foreign tastes.
In Chapter 3 we change our perspective considering both innovation and internationalization strategies jointly and changing the variable of interest analyzing how the persistence in innovation activity influences the performance of the firm (measured through the total factor productivity à la Levinsohn and Petrin) and if this relationship changes if firms export persistently or do not. Using OLS and then a two step system Arellano-Bond GMM, we at first consider the effects of these strategies separately, and then, we consider them jointly. What we find is that when we consider the strategies separately they do not seem to allow firms to gain productivity. Our estimation results are in favour of the hypotheses of learning-by-exporting and learning-by-doing: persistent innovation efforts must be associated with a permanent presence on foreign markets since firms that persistently innovate and persistently export have better results in terms of productivity than persistently exporting firms that do not innovate persistently and than firms that do not export persistently. [edited by author] | it_IT |
dc.description.abstract | Obiettivo fondamentale della tesi è fornire un contributo al dibattito sulla relazione tra innovazione ed internazionalizzazione. Dopo aver fornito nel Capitolo 1 una esaustiva e completa rassegna della letteratura (teorica ed empirica) sull’argomento, nel Capitolo 2 passeremo, considerando diverse strategie di internazionalizzazione, ad analizzare l’impatto della partecipazione ad attività internazionali sull’innovazioneper fornire ulteriore evidenza empirica al filone della letteratura noto come “learning-by-internationalization” (LBI). Un ulteriore importante obiettivo di tale capitolo è considerare se le destinazioni di attività internazionali influiscono sui ritorni in termini di innovazione per le imprese. Nel capitolo conclusivo dell’elaborato, infine, esamineremo il ruolo della persistenza, sia nelle decisioni di innovazione che nell’attività di export, per vedere se un più duraturo coinvolgimento in tali attività (solo in una o in entrambi) possa assicurare un maggiore ritorno in termini di produttività. Tutte le analisi, volte al raggiungimento degli obiettivi sopracitati, sono state condotte attraverso l’utilizzo di dati sulle imprese manifatturiere italiane, osservate per un periodo di tempo di 8 anni, forniti da tre diverse wave (VIII, IX, X) dei dati Unicredit-Capitalia (19982006).
Approfondendo più nel dettaglio i contenuti dei vari capitoli che compongono l’elaborato, nel Capitolo 1, affrontiamo il dibattito, ancora aperto, che ha attraversato la letteratura nelle ultime due decadi, mettendo in risalto come progressivamente, l’oggetto di analisi si sia progressivamente spostato da un approccio più industry-level – più in voga fino alla fine degli anni ’90 del secolo scorso – verso una sempre crescente attenzione al ruolo centrale che hanno le caratteristiche specifiche delle imprese e la loro eterogeneità. Il contributo del secondo capitolo di questo elaborato, invece, non è incentrato solo sull’importanza delle esportazioni, come la maggior parte dei lavori in questo campo (per delle rassegne esaustive vedere Wagner 2007, 2012; e, per l’Italia, Gattai, 2015); uno degli
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elementi di principale novità è aver considerato congiuntamente tre diverse strategie di internazionalizzazione: esportazioni, investimenti diretti esteri (IDE) e outsourcing. In questo capitolo, inoltre, la dimensione per valutare la performance dell’impresa e, quindi, il diverso impatto delle diverse strategie di internazionalizzazione, è l’innovazione (che noi consideriamo sia senza distinguere tra le diverse tipologie, sia anche solo come innovazione di prodotto). Le stime di questo capitolo sono state condotte attraverso l’utilizzo di tecniche econometriche complementari: partendo dall’utilizzo di stime con variabili dipendenti binarie, in particolare di probit con random effects, implementeremo il propensity score matching per affrontare i problemi di enodgeneità e di “selection bias on observables”; infine, attraverso l’utilizzo della procedura di Heckman, controlleremo eventuali “selection bias due to unobservables”. I risultati principali di questo capitolo sono: 1) sia le esportazioni che gli IDE hanno un effetto positivo sulla probabilità delle imprese di introdurre innovazione e gli IDE hanno anche un effetto maggiore, se consideriamo l’innovazione senza distinguerne le tipologie; 2) se consideriamo, invece, l’introduzione di innovazioni di prodotto, anche in questo caso, le imprese coinvolte in tale tipo di attività hanno un probabilità maggiore di innovare se confrontate con le rispettive controparti non attive sui mercati internazionali; 3) l’outsourcing, invece, mostra un coefficiente positivo e significativo solo nel caso dell’innovazione di processo, suggerendo che le imprese che esternalizzano alcune fasi della produzione possono avere un ritorno in termini di innovazione che consentirebbe loro di migliorare l’intero processo produttivo. Dato che le destinazioni delle attività internazionali possono avere effetti differenti sull’innovazione, le raggrupperemo in 3 differenti classi (i Paesi che fanno parte dell’Europa a 15, Paesi non europei industrializzati, Paesi non europei meno industrializzati). I nostri risultati sottolineano come le imprese esportatrici e che investono all’estero abbiano una maggiore probabilità, se comparate con le loro controparti non attive sui mercati internazionali, di introdurre innovazioni se le loro attività sono rivolte a Paesi al di fuori dell’Europa a 15. In particolare, risultato forse inaspettato, esportare verso Paesi non appartenenti all’Europa a 15 e meno sviluppati, sembra garantire una maggiore probabilità di introdurre innovazioni di prodotto. Questo risultato sembra sottolineare come le imprese che si rivolgono a tali mercati, a causa di una maggiore eterogeneità delle preferenze dei mercati di destinazione rispetto al mercato domestico italiano, debbano fare uno sforzo maggiore in termini di innovazione per rendere appetibili i propri prodotti.
Nel terzo ed ultimo capitolo della tesi, analizzeremo la relazione tra innovazione e internazionalizzazione sotto una diversa prospettiva. Considereremo, infatti, congiuntamente, le scelte strategiche sia in termini di innovazione che di internazionalizzazione, cambiando anche la variabile di interesse con cui misuriamo la performance delle imprese: la produttività totale dei fattori á la Levinsohn and Petrin. Oggetto di interesse di questo capitolo, in particolare, è analizzare se le performance delle imprese cambiano se le imprese intraprendono separatamente o congiuntamente le due strategie e, inoltre, se portarle avanti nel tempo in maniera continua ha effetti positivi. Analizzeremo, prima singolarmente, poi congiuntamente le diverse scelte strategiche attraverso l’utilizzo prima di un OLS e poi di un two-step system GMM á la Arellano-Bond. Quello che emerge dalla nostra analisi è che quando consideriamo le strategie separatamente,
queste non sembrano assicurare alle imprese vantaggi in termini di produttività, ma, a conferma delle ipotesi di learning-by-exporting e di learning-by-doing, le imprese che innovano costantemente nel tempo devono associare anche una costante attività di export per avere benefici. Imprese che intraprendono una sola attività, infatti, anche se costantemente nel tempo, non sembrano invece avere ritorni positivi in termini di produttività. [a cura dell'autore] | it_IT |