Mostra i principali dati dell'item

dc.contributor.authorBuono, Anna
dc.date.accessioned2012-10-01T11:54:47Z
dc.date.available2012-10-01T11:54:47Z
dc.date.issued2012-06-13
dc.identifier.urihttp://hdl.handle.net/10556/276
dc.description2010 - 2011en_US
dc.description.abstractQuesta Tesi di Dottorato su: “La struttura del reato nella giurisprudenza dei Tribunali penali internazionali”, dal punto di vista organizzativo, è suddivisa in tre parti. La prima parte è dedicata allo sviluppo del diritto penale internazionale. Questo “darwinismo” è legato all’evoluzione dei Tribunali penali internazionali, da Norimberga ai cosiddetti Tribunali ibridi o internazionalizzati istituiti dalle Nazioni Unite, caratterizzati dalla natura “mista”, interna ed internazionale, della loro struttura e del diritto applicabile. Questa parte si sofferma anche sul diritto penale calato nel contesto della giustizia internazionale nell’ottica della dottrina dal secondo dopoguerra ad oggi ed espone minuziosamente i problemi da risolvere in tale ambito: difficoltà nell’applicare le norme ai casi specifici, difficoltà nell’applicare il diritto penale internazionale in un contesto plurilingue (il caso Krnojelac); e, ultimo, non per ordine di importanza, i giudici internazionali come creatori di diritto: il caso Vasiljevic ha enfatizzato questa funzione («Il principio nullum crimen sine lege non impedisce ad un tribunale di interpretare e chiarire gli elementi di un certo crimine, né impedisce il progressivo sviluppo della legge ad opera del Tribunale»). La giurisprudenza dei Tribunali penali internazionali per la ex-Jugoslavia ed il Ruanda, ha facilitato l’evoluzione del diritto penale internazionale, sia attraverso nuove interpretazioni delle norme esistenti, sia attraverso lo sviluppo di nuove e più appropriate norme. Questa prima parte, nel suo capitolo finale, descrive in modo dettagliato i crimini internazionali: crimini di guerra, crimini contro l’umanità, genocidio e la definizione del crimine di aggressione dopo la Conferenza di Revisione dello Statuto di Roma svoltasi a Kampala. La seconda parte affronta l’argomento centrale della Tesi. Questa parte compie il tentativo di comparare gli elementi costitutivi del reato secondo la teoria tripartita, con la struttura dei crimini internazionali. Tuttavia, dai reati di diritto comune ai crimini internazionali, si riscontrano cambiamenti strutturali e sussiste il forte pericolo di confusione nel trasporre la relativa terminologia nel contesto internazionale senza spiegarne l’esatto significato. La struttura tripartita consta di tre elementi fondamentali: fatto tipico (comprensivo dell’elemento materiale e dell’elemento soggettivo, consistente nel nesso psichico tra azione ed evento), antigiuridicità e colpevolezza. La locuzione “fatto tipico” costituisce la più aderente traduzione del termine corrente Tatbestand. A proposito dell’antigiuridicità, l’art. 31 dello Statuto della Corte penale internazionale che contempla “Motivi di esclusione della responsabilità penale” usa il termine “motivi” in luogo di “defenses”. Questa scelta terminologica è stata deliberatamente compiuta per evitare a priori le interpretazioni che il common law ne offre. Allo stesso tempo, la norma non distingue tra cause di giustificazione e cause di esclusione della colpevolezza, almeno non esplicitamente. In realtà accorpa fattori di esclusione della responsabilità penale che tradizionalmente, nei sistemi di civil law, convergono nelle cause di giustificazione (legittima difesa), o nelle cause di esclusione della colpevolezza (infermità mentale, intossicazione) o in entrambe (“necessity” come causa di giustificazione, “duress” come causa di esclusione della colpevolezza). Il bilanciamento degli interessi, è principio organizzativo centrale sotteso alla categoria delle cause dei giustificazione e l’accezione tradizionale dello stato di necessità richiede che l’interesse tutelato superi di gran lunga l’interesse leso. Premesso che per i crimini di guerra, i crimini contro l’umanità ed il genocidio, non possono mai essere invocate cause di giustificazione, è difficile applicare il principio del bilanciamento degli interessi alla Makrokriminalität. A proposito delle cause di esclusione della responsabilità penale, la Tesi espone in modo dettagliato i casi Erdemovic ed Eav. In particolare, Erdemovic affermò di avere commesso i crimini di guerra di cui era accusato sotto costringimento psichico. Il Tribunale ha ritenuto che non fosse invocabile una norma di diritto internazionale consuetudinario, né fossero invocabili i “principi generali del diritto” a causa delle numerose divergenze tra le norme nazionali in merito. Infine, è prevenuto a “considerazioni politiche” per risolvere il caso sul piano internazionale. La sentenza Erdemovic è giunta alla conclusione che la causa di giustificazione invocata dall’imputato non può essere ammessa per chi si sia reso colpevole della morte di civili innocenti. La sentenza della Camera d’Appello è stata accompagnata dall’opinione dissenziente del giudice Antonio Cassese che ha sottolineato l’importanza del principio del nullum crimen sine lege e sostenuto che le “considerazioni politiche” sono estranee al mandato del Tribunale. La colpevolezza psicologica si atteggia anch’essa in modo peculiare nel contesto internazionale. Un esame approfondito della giurisprudenza e dei tentativi di codificazione della parte generale del diritto penale internazionale e della struttura dei crimini internazionali, riconduce alla sistematica bipartita, articolata nella dicotomia anglo-americana actus resusmens rea. Tale sistematica è stata recepita dalla struttura di base dello Statuto della Corte penale internazionale ed è questo modello di common law a prevalere nella strutturazione del diritto sostanziale. Il diritto penale internazionale ha adottato il principio della responsabilità penale individuale, emancipandosi dalla responsabilità collettiva. Tuttavia, ciò non significa che tale responsabilità sia divenuta irrilevante. Numerose sono le teorie sulla responsabilità penale: la responsabilità concorsuale, la responsabilità per fatto altrui, la responsabilità oggettiva, la responsabilità derivante dall’appartenenza ad una organizzazione criminale e dall’adesione al relativo piano criminale, la responsabilità del superiore gerarchico. Una evidente evoluzione è legata alla responsabilità da comando: è stato affermato che anche il controllo de facto esercitato sui subalterni in assenza di una formale investitura di potere, è sufficiente per affermare la responsabilità del superiore gerarchico. È difficile scorporare la responsabilità individuale nel contesto della Makrokriminalität e la Joint Criminal Enterprise (dal caso Tadic alla giurisprudenza della Camere straordinarie cambogiane) è diventata una necessità, insieme ad altre aberranti “costruzioni” giuridiche: in merito, dopo le sentenze della Corte penale internazionale (i casi Lubanga, Katanga, Ngudjolo Chui, Al Bashir e Bemba Gombo), si sono aperti nuovi scenari giuridici. La colpevolezza normativa è un settore trascurato del diritto penale internazionale. Tuttavia, la giurisprudenza in materia è interessante e costituisce spunto per osservazioni critiche. In particolare, lo scopo della ricerca è verificare se le esigenze repressive prevalgano nel sistema della giustizia penale internazionale. La casistica comprende i casi Žigic (intossicazione volontaria), Landžo e Jelisic (presunta infermità mentale parziale), Erdemovic, Došen e Todorovic (disturbo post-traumatico da stress). Žigic riteneva che l’amputazione dell’indice subita, le complicanze post-operatorie, le permanenza in ospedale e la ripresa dell’assunzione di alcool correlata ad una dipendenza precedente, avessero determinato un quadro clinico, temporalmente a ridosso della commissione dei fatti riportati nei capi di accusa, tale da giustificarne la valutazione come circostanza attenuante e dunque la mitigazione della pena. Ma la giurisprudenza del Tribunale è ferma sul disconoscere all’intossicazione volontaria valore di circostanza attenuante. Nel caso Landžo la difesa ha compiuto molte manovre analoghe a quelle compiute per pervenire alla soluzione di un cubo di Rubik per addurre una parziale infermità mentale. In particolare, il caso Jelisic enfatizzato il rapporto tra disturbi della personalità e colpevolezza. La sua personalità, che presenta tratti borderline, antisociali e narcisistici, e che è caratterizzata allo stesso tempo da immaturità e desiderio di compiacere i superiori, esercita un ruolo determinante nella commissione dei crimini. La parole ed il comportamento di Goran Jelisic, essenzialmente rivelano disturbi della personalità. In conclusione la Camera di Prima Istanza ha ritento che gli atti di Goran Jelisic non esprimessero l’intento genocidiario di distruggere in tutto o in parte un gruppo. Ma solo il genocidio è stato escluso: la Camera di Prima Istanza ha affermato la colpevolezza di Jelisic in ordine alle violazioni di leggi e costumi di guerra, saccheggio, omicidio, trattamenti crudeli ed altri atti inumani. Per quanto riguarda il disturbo post-traumatico da stress, nel caso Došen, la difesa ha addotto che, nel periodo considerato, l’imputato sarebbe stato sottoposto a numerosi traumi sfociati in un disturbo post-traumatico da stress: dalla morte del suo primo figlio alla situazione a Keraterm. La Difesa addusse altresì circostanze personali rilevanti ai fini della mitigazione della pena: Damir Došen aveva 25 anni all’epoca dei fatti ed aveva un basso livello di istruzione; aveva perso il suo primo figlio, immediatamente prima dello scoppio del conflitto; suo padre era morto nel febbraio 2000, tre mesi dopo il suo arresto; sua moglie era disoccupata e viveva con i loro due figli, di 8 anni e 16 mesi, e con sua madre, che soffriva di gravi disturbi mentali; infine, la sua famiglia viveva a Prijedor in difficili condizioni. La conclusione del Dott. Lecic-Tosevski era che durante il periodo considerato era evidente nell’imputato una reazione acuta allo stress successivamente degenerata in sindrome post-traumatica da stress, a causa della morte del suo primo figlio e della situazione a Keraterm. Il secondo perito, il Dott. Najman, non ha affrontato la specifica questione della ridotta capacità mentale, ma ha rilevato in Došen vulnerabilità, depressione e insicurezza dopo la morte del suo primo figlio. Il Tribunale concluse che la condizione di Damir Došen al momento in cui commise i crimini, non potesse dare luogo ad una mitigazione della pena. Nel caso Todorovic, la Camera Preliminare dispose la perizia ad opera di due esperti: la conclusione del Dott. Soyka fu l’esclusione in Stevan Todorovic di disturbi mentali gravi o di qualsiasi altro disturbo psichiatrico nel periodo considerato, con l’esclusione, dunque, di una eventuale ridotta capacità; la conclusione del Dott. Lecic-Tosevski era che Stevan Todorovic non fosse affetto da alcun disturbo di personalità, ma solo da stress post-traumatico a causa del pesante bombardamento della zona e la morte di parenti ed amici cui era conseguito l’abuso di alcool. La Camera di Prima Istanza rileva l’esclusione, ad opera di entrambi gli esperti, di disturbi della personalità dell’imputato, con una diversa conclusione, però, a proposito dello stress post-traumatico, che, non facendo registrare unanimità di vedute, non poteva assurgere a circostanza attenuante. In generale, i Tribunali penali internazionali privilegiano esigenze repressive. La terza parte si concentra sul rapporto tra la dimensione interna e quella internazionale del diritto penale. Tale rapporto, dalle prime convenzioni in materia penale, alla “reattività” nazionale all’istituzione dei Tribunali ad hoc, fino all’adeguamento allo Statuto della Corte penale internazionale è intessuto di condizionamenti reciproci, con al centro l’immagine di una norma incriminatrice-matrioska, che sembra essere l’unico éscamotage interpretativo per sopperire all’ampio tasso di astrattezza e genericità che caratterizza le norme penali internazionali. Un rapporto rappresentato con efficaci immagini della dottrina: dalla “penetrazione” del diritto internazionale nel diritto interno, agli “influssi” e “reflussi” fra ordinamento internazionale ed ordinamenti interni, al treno del’esecuzione nazionale staccato dalla locomotiva della legge che ha autorizzato la ratifica dello Statuto di Roma. Fino alla desolazione della polvere dei cassetti ministeriali in cui giacciono disegni di legge mai divenuti tali, ultimo tratto di un quadro desolante che, fra esigenze e resistenze, raffigura un non-sistema segnato dall’ineffettività ed una Giustizia che può attendere. In questo quadro desolante è riscontrabile una certezza: la giurisprudenza ha prodotto norme dal contenuto ibrido, per metà nazionale, per metà internazionale, una sorta di viso di Giano, emblema del diritto penale internazionale. Ma è impossibile trasporre il diritto penale nazionale nel contesto internazionale senza i dovuti adattamenti. Nel giudizio Erdemovic, l’energica opinione dissenziente del Giudice Cassese ha sottolineato l’importanza di considerare il contesto, respingendo trasposizioni acritiche e meccaniche. Le osservazioni conclusive sono critiche: la giustizia penale internazionale è perfettibile e, in questi rilievi finali, è doveroso citare autorevole dottrina: “Ogni inizio di forme superiori di vita è incerto e difettoso”.[a cura dell’autore]en_US
dc.language.isoiten_US
dc.publisherUniversita degli studi di Salernoen_US
dc.subjectGiurisprudenza penale internazionaleen_US
dc.titleLa struttura del reato nella giurisprudenza dei tribunali penali internazionalien_US
dc.typeDoctoral Thesisen_US
dc.subject.miurIUS/17 DIRITTO PENALEen_US
dc.contributor.coordinatoreZiccardi Capaldo, Giulianaen_US
dc.description.cicloX n.s.en_US
dc.contributor.tutorBartone, Nicolaen_US
dc.contributor.tutorOriolo, Annaen_US
dc.identifier.DipartimentoStudi Internazionali di Diritto ed Etica dei Mercatien_US
 Find Full text

Files in questo item

Thumbnail
Thumbnail

Questo item appare nelle seguenti collezioni

Mostra i principali dati dell'item