Le sopravvenienze contrattuali: profili di diritto interno e comparato
Abstract
Il lavoro analizza il tema delle sopravvenienze contrattuali sia nel panorama italiano che in quello internazionale. Dallo studio emerge la sua delineazione in modo frammentario, in parte composto da figure esplicitamente delineate, in parte da rimedi emersi solo in via interpretativa e, talvolta, non ancora definiti con sicurezza. La lacunosità e la frammentarietà della disciplina delle sopravvenienze contrattuali si evince anche riguardo ad una serie di questioni che il legislatore risolve solo in riferimento ad una particolare figura di sopravvenienza, lasciando all’interprete l’onere di individuare soluzioni per le ipotesi in cui il problema si manifesti in relazione a fattispecie diverse. Così si pone la questione della rilevanza delle sopravvenienze auto-indotte; emerge, quindi, l’esigenza di individuare un criterio per stabilire fino a che momento le sopravvenienze possono assumere rilevanza al fine della risoluzione nelle ipotesi in cui esse intervengono nell’ambito di un contratto a prestazioni corrispettive eseguito da una sola parte. E’ pur vero, però, che esistono anche elementi di differenzazione caratterizzanti ciascuna figura di sopravvenienza e, quindi, norme che, avendo determinate peculiarità, non si prestano a costituire il paradigma sulla base del quale estrapolare regole generali applicabili anche ad altre fattispecie non esplicitamente disciplinate. Si giunge alla conclusione che non è possibile, quindi, individuare regole generali valide per ogni tipologia di sopravvenienza. Altro aspetto rilevante è che la presupposizione costituisce una terza categoria distinta dall’impossibilità e dall’eccessiva onerosità, nelle quali confluiscono fattispecie di sopravvenienza che, sebbene latamente assimilabili all’impossibilità, all’eccessiva onerosità o allo svilimento della controprestazione, non possono essere integralmente ricondotte ad esse.
Da tanto consegue che alla presupposizione deve essere di volta in volta ricollegato il rimedio di cui all’artt. 1467 c.c. o 1464 c.c. a seconda che le concrete fattispecie prese in considerazione presentino caratteristiche assimilabili rispettivamente alle sopravvenienze onerose o all’impossibilità parziale. Interessante il profilo della incidenza delle stesse sul contratto e la relativa gestione. La costruzione di una disciplina giuridica speciale per i contratti di durata deriva dalla circostanza che le parti tendono a reagire alle sopravvenienze attraverso in adattamento del contratto. Si è allora cercato di generalizzare l’esistenza di un dovere di rinegoziazione in capo ai contraenti: in tal modo, però, si compie un salto logico; se, infatti, le parti mostrano flessibilità ex post, questo non significa che esse vogliono già ex ante preimpegnarsi ad usare una simile flessibilità. La tendenza a gestire con una certa elasticità le sopravvenienze non si accompagna ad una significativa diffusione di clausole di rinegoziazione, inserite ab origine nei contratti di durata.
Questo non significa che non esiste un dovere di rinegoziazione ma, semplicemente, che questo dovere non può essere visto come rimedio generale ma come soluzione possibile solo dove ricorrano circostanze particolarmente gravi. Nelle altre ipotesi, la rinegoziazione costituisce oggetto non di una vera e propria obbligazione ma semplicemente una facoltà delle parti. L’analisi viene condotta anche in riferimento ad alcuni ordinamenti stranieri, sia di civil law che di common law, onde evidenziare analogie e differenze con il nostro ordinamento e valutare come esse interagiscono nell’ambito della più ampia prospettiva della vendita internazionale e del Codice Europeo dei Contratti. Nell’ordinamento inglese le regole generali che disciplinano le sopravvenienze sono assai sfuggenti, stante il rispetto del principio della sancity of the contract, che, tuttavia, subisce alcune mitigazioni ad opera della cd. doctrine of frustation. Con il termine generale di frustation si indica l’effetto prodotto da una sopravvenienza che abbia determinato l’impossibilità della realizzazione dell’interesse che le parti volevano realizzare mediante il negozio da esse concluso, interesse che le aveva portate alla conclusione di quella determinata specie di negozio a quelle precise condizioni. Nei casi in cui si verifica un elemento di frustation si ha la termination del contact e la cd. discharge di entrambe le parti. Occorre però precisare che la giurisprudenza non ha mai enucleato chiaramente le regole generali per determinare quando un contratto può ritenersi frustated, lasciando così alla dottrina solamente la possibilità di una rassegna delle fonti possibili di frustation, classificate dagli autori talora in base alla loro natura talaltra in relazione a singole fattispecie negoziali. Dopo l’analisi della giurisprudenza, la dottrina è pervenuta alla conclusione che, per esservi frustation, le sopravvenienze debbano essere tali da aver reso l’adempimento qualcosa di ‘ radically or fundamentally different in a commercial sense’, rispetto a quanto pattuito nel contratto. Dalle diverse trattazioni dottrinali emerge che l’applicazione della doctrine of frustation non è affatto avvenuta in modo incontrastato e privo di forti limitazioni, la giurisprudenza ha infatti previsto forti limitazioni di carattere generale in settori in cui si continua ad applicare la vecchia regola dell’absolute contracts.
In definitiva si può osservare che la frustation , al di fuori dei casi di sopravvenuta impossibilità o illiceità della prestazione, è stato un rimedio poco applicato in concreto dalla giurisprudenza inglese, la quale si è spesso mobilitata per imporre dei limiti alla propria discrezionalità in tale campo, rimanendo assai ossequiosa nei confronti della doctrine of absolute contracts, ossia del principio della ‘sancity of the contract’. Vengono poi evidenziate differenze ed analogie nell’ambito dei sistemi di common law tra il sistema inglese e quello angloamericano.
Altro modello considerato è quello francese nel quale si opera una bipartizione delle sopravvenienze: da una parte la forza maggiore, causa esoneratrice di responsabilità e dall’altra tutte le altre che hanno dato origine alla teorie de l’imprevision. La giurisprudenza si oppone alla creazione di un mezzo generale di tutela nei confronti della seconda categoria di sopravvenienze.
Pur basandosi sugli stessi principi generali del nostro sistema contrattuale, l’ordinamento francese prevede una disciplina delle sopravvenienze contrattuali molto diversa se non addirittura antitetica alla nostra soprattutto in riferimento alla eccessiva onerosità sopravvenuta. La regola che domina nell’ordinamento francese, fatta eccezione per i contratti con la Pubblica Amministrazione, può riassumersi nella clausola pacta sunt servanda, nessun mutamento delle circostanze sussistenti al momento della conclusione del contratto legittima una delle parti a chiedere né la revisione né tanto meno la risoluzione del contratto stesso. Nel termine generico di ‘imprevision’il legislatore non ricomprende l’eccesiva onerosità sopravvenuta contro la quale, pertanto, non è previsto alcun mezzo di tutela le uniche sopravvenienze disciplinate risultano essere la force majeure all’art. 1148 del Code e il perimento della cosa dovuta all’art. 1302. La dottrina francese nel trattare l’imprevision la colloca nella parte dedicata agli effetti del contratto partendo dal presupposto che esso abbia forza vincolante assoluta. Il legislatore disciplina le sopravvenienze ( impossibilità della prestazione) sotto il profilo della force majeure e di quello del perimento o perdita della cosa dovuta. La force majeure, corrispondente, al nostro caso fortutito, il cui verificarsi renderebbe impossibile una delle prestazioni, viene considerata causa di esonero delle conseguenze dell’inadempimento ovvero del risarcimento del danno patito previa dimostrazione a carico del debitore che l’inadempimento è dovuto a causa a lui non imputabile.
L’art. 1302 disciplina l’altra ipotesi di esonero di responsabilità vale a dire il perimento della cosa oggetto della prestazione senza ovviamente che vi abbia contribuito il comportamento del debitore.
Da ultimo si prende in considerazione una specifica e particolare ipotesi di eccessiva onerosità sopravvenuta : l’usurarietà sopravvenuta alla luce della l. 108/1996. La sua introduzione apre un ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale in merito alla sua efficacia retroattiva nel senso che si discute la sua applicazione a quei contratti che sono stati stipulati prima della sua entrata in vigore. La giurisprudenza è divisa tra usuraUna possibile soluzione potrebbe essere rappresentata da istituto di recente introduzione, la conciliazione. Emerge, infatti, come le scelte condivise siano più efficaci oltre che vantaggiose rispetto a quelle imposte da una autorità terza.
[a cura dell’autore]