dc.description.abstract | La tematica del fine vita è notoriamente complessa ed estremamente delicata.
Il tema, in quanto “eticamente sensibile”, si presta ad essere oggetto di confronto e scontro tra istanze morali, ideologiche e politiche e trova posizioni diametralmente opposte tra correnti di pensiero di tipo radicale, in cui prevale il riconoscimento di un indiscriminato diritto alla libertà di determinazione dell’individuo (fino ad auspicare il ricorso all’eutanasia) ed impostazioni totalmente diverse di profonda difesa della vita, la maggior parte delle quali sono di matrice cattolica.
Ciò che un tempo sarebbe stato rimesso alla natura ed alle sue leggi, attualmente è oggetto di valutazioni multidisciplinari poiché, da un lato, lo studioso del diritto si approccia ad esse alla luce dei principi di dignità umana, uguaglianza ed autonomia, dall’altro lato, le medesime fattispecie sono analizzate con regole e parametri da parte della scienza e dalla bioetica, discipline con cui il giurista è chiamato costantemente a dialogare.
Il primo dato inconfutabile da cui prendere le mosse è, certamente, quello della mancanza in Italia di una normativa che si occupi dell’autonomia privata della persona nella fase finale della sua esistenza e che, a tale assenza, si contrappone un ricco e stimolante dibattito relativo alla possibilità di stabilire se l’ordinamento ad oggi vigente consenta o meno alla persona umana di disporre di beni quali l’integrità psicofisica e, soprattutto, la propria vita.
Il dibattito politico italiano, poi, soprattutto a seguito di casi giudiziari che hanno scosso notevolmente l’opinione pubblica, si è incentrato, negli ultimi anni, sull’opportunità di disciplinare, sul piano del diritto positivo, ciò che comunemente viene definito “testamento biologico”.
A ben guardare, il nostro ordinamento giuridico già offre validi strumenti per analizzare un simile strumento dal punto di vista della sua liceità, la quale, a sua volta, presuppone un giudizio di valore già effettuato dal legislatore italiano in relazione ai beni ed ai principi da tutelare in via primaria.
Attraverso i principi e le disposizioni costituzionali, attraverso il limite invalicabile dell’art. 5 del codice civile (per i motivi che più avanti si andranno a specificare), attraverso il quadro penalistico e, attraverso tutte le fonti non strettamente vincolanti ma in grado di incidere fortemente sull’agire umano, è possibile individuare un quadro di riferimento che rende la tematica del fine vita, non espressamente disciplinata, pur tuttavia, non totalmente sprovvista di tutela .
In realtà il testamento biologico risulta uno strumento inidoneo a contenere le ultime volontà del soggetto in merito ai trattamenti sanitari cui essere sottoposto; esso appare infatti tecnicamente impreciso per una molteplicità di contrasti con il tradizionale istituto testamentario, sicché prevale nettamente l’utilizzo dell’espressione “direttive anticipate di trattamento sanitario”, intese quali dichiarazioni espressive di volontà pro futuro e per situazioni di possibile incapacità di scegliere se e come curarsi.
Lo scopo di questo lavoro vuole essere, innanzi tutto, quello di ricostruire l’attuale quadro delle fonti in materia di testamento biologico e di analizzare quanto sia emerso dalla prassi
delle Corti dei vari Paesi, puntando lo sguardo su alcune delle vicende che hanno interessato il diritto europeo, in generale, ed il diritto italiano.
A ciò si aggiunge una verifica dell’attuale stato di evoluzione del principio di autodeterminazione in ambito medico-sanitario nell’ordinamento giuridico italiano, dei risvolti della sua applicazione in ambito civile e penale, degli strumenti di tutela in caso di violazione del consenso informato del paziente.
Ne consegue la riflessione sull’inadeguatezza del d.d.l. Calabrò a rispondere all’attuale contenuto del principio di autodeterminazione ed il necessario ricorso al criterio della dignità umana in attesa di una legge adeguata. [a cura dell'autore] | en_US |