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Titolo: Dialettica e ontologia nella dottrina carolingia delle immagini: i Libri carolini e le loro fonti
Autore: Ianiro, Diego Maria
D'Onofrio, Giulio
D'Onofrio, Giulio
Bisogno, Armando
Parole chiave: Dialettica;Carolingi;Immagini
Data: 26-giu-2012
Editore: Universita degli studi di Salerno
Abstract: Il lavoro tenta di fare luce sulla reale natura dei Libri Carolini al fine di stabilire il ruolo delle immagini nell'economia dell'opera. Redatta a nome di Carlo Magno come risposta al Concilio Niceno Secondo, essa è stata considerata da alcuni storici della filosofia come il primo testo dell'Alto Medioevo latino a trattare tematiche di ordine filosofico-speculativo. In particolare, l'opera presenta una riflessione sulla natura e sulla funzione delle immagini sacre che solo apparentemente si pone a metà strada tra l'iconoclastia e l'iconodulia, le due fasi vissute dal cristianesimo bizantino a partire dalla prima metà del secolo VIII. Le risorse dell'ars dialectica messe in campo dagli intellettuali della corte franca hanno infatti contribuito a determinare un originale statuto ontologico per le immagini come realtà naturali. La tesi cerca inoltre di valutare la ricezione del testo nel contesto della generazione di filosofi immediatamente successiva: essa, apparentemente nulla, ha in realtà pesantemente influenzato l'approccio al tema nella prima metà del secolo IX. Suddivisa in quattro capitoli, la tesi affronta nella prima parte (cap. I e II) l'analisi della letteratura specifica degli ultimi cinquant'anni al fine di evidenziare i limiti della prospettiva storiografica maggioritaria che tende a elaborare la ricostruzione storica del testo a partire dalle evidenze codicologiche e paleografiche di un solo manoscritto (ms. Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 7207), ritenuto come la copia di lavoro dei Libri Carolini. Sulla base della più antica testimonianza diretta del testo a noi pervenuta, riscontrabile in un'opera di Incmaro di Reims redatta nell'870 (Opusculum LV capitulorum), nel primo capitolo della tesi si è cercato di far emergere il modo in cui alcune prove della non unicità del ms. Vat. lat. 7207 (Vaticanus) siano state forzatamente respinte al solo fine di rendere più solidamente fondata l'ipotesi che accredita la paternità del testo esclusivamente a Teodulfo d'Orléans. Per lo stesso motivo sembra essere stata accettata con leggerezza l'esistenza di un testo solo ipotetico conosciuto come Capitulare adversus synodum: questa presunta bozza preliminare dei Libri sarebbe pervenuta al papa Adriano I prima della redazione finale dell'Opus. Tale ipotesi, peraltro non verificabile, contraddice esplicitamente la scomoda testimonianza di Incmaro solo per rafforzare la pretesa dell'unicità del Vaticanus. Il capitolo si conclude descrivendo come le evidenze esterne al Vaticanus utilizzate per attribuire a Teodulfo la paternità del testo siano effettivamente inconsistenti. Nel capitolo successivo vengono passati in rassegna tutti i testimoni dell'opera fino al 1559, anno in cui i Libri furono messi all'indice dalla Santa Sede, in modo da dimostrare l'esistenza di almeno altri due manoscritti – oggi perduti – oltre ai due conosciuti. Da questa rassegna risulta evidente che una copia del testo originale era posseduta dalla biblioteca vaticana molto prima dell'acquisizione del Vaticanus, come testimoniano alcuni registri del xv secolo. Inoltre la ricezione del testo in ambiente romano prima dell'editio princeps del 1549, stampata per fornire un supporto a una certa ideologia protestante filoiconoclasta, mostra chiaramente come i Libri Carolini fossero stati considerati una valida auctoritas al fine di confermare la supremazia della chiesa di Roma, effettivamente esplicitata nel capitolo I, 6 dell'opera di Carlo. Tale ricezione è utile per riequilibrare la tradizione storiografica che reputa il testo più come Opus de imaginibus che come Opus contra synodum. In base a questa serie di considerazioni, la seconda parte del secondo capitolo della tesi prova a fornire una nuova ricostruzione degli eventi che portarono alla redazione del testo, in modo da inquadrare quest'ultima nella dinamica dei rapporti di forza tra il re dei franchi e il papa all'alba della definitiva sconfitta dei Bizantini in Italia. Il quadro fornito da una simile ricostruzione dimostra quanto sia poco credibile l'ipotesi che considera i Libri Carolini come la reazione franca agli imperatori d'Oriente scaturita a seguito della lettura di una cattiva traduzione degli atti del Niceno Secondo. Nonostante il suo carattere eminentemente politico, però, il testo attacca la teologia del concilio orientale affrontando il problema delle immagini da una prospettiva filosofica, affiancando all'auctoritas dei padri indicati nel Decretum Gelasianum quella ratio, fornita dall'ars dialectica, necessaria a definire non solo i termini del corretto discorso sull'argomento iconodulia/iconolatria, ma anche l'essenza stessa delle immagini come res. Nel terzo capitolo della tesi si focalizza quindi sulla definizione delle immagini approntata dai teologi di Carlo nei Libri Carolini grazie allo strumento della dialettica. Senza entrare nel merito della tradizione speculativa orientale, sia per esplicito intento programmatico che per implicita ignoranza della stessa, i redattori del testo hanno impiegato la Praefatio e i primi otto capitoli del primo libro per isolare, con argomentazioni razionali inedite nell'alto medioevo latino, l'oggetto immagine come res insensata, costitutivamente imperfetta in quanto predicabile, nella sua stessa ousia, di altro da sé secondo la categoria della relazione: tra le res creatae, quindi, essa possiede uno statuto ontologico del tutto particolare che si confonde con la sua funzione di rappresentare altro e che si risolve nel suo stesso essere rappresentante. Questo non solo è il motivo per cui non ha senso né adorare né distruggere le immagini, ma anche la ragione per cui esse non possono in alcun modo sostituire la scrittura nell'istruzione in quanto solo grazie alla scrittura l'immagine diventa discernibile e può essere letta. L'ultima parte del terzo capitolo della tesi analizza il rapporto tra le immagini e altre forme simboliche, denominate res sacratae, che non possono essere considerate res insansatae in quanto istituite direttamente da Dio. Nel quarto capitolo si critica la liceità di intravedere il rudimento di una teoria estetica nei Libri Carolini, pretesa suscitata dall'ammissione esplicita, da parte dei redattori del testo, della possibilità che le immagini apportino pulchritudo e venustas. L'opera è però avara di un maggiore approfondimento in questo senso, e dunque è improprio parlare di un'estetica in nuce; è invece necessario soffermarsi sull'uso strumentale e operativo della dialettica che, proprio a partire da questo testo, costituirà il metodo del discorso teologico per le generazioni successive. L'uso della dialettica nella definizione della natura di una “cosa” come l'immagine va accreditato senza dubbio ad Alcuino, che in quegli anni componeva il De dialectica, testo le cui tracce nei Libri Carolini sono manifeste proprio nei primi otto capitoli del primo libro. L'Opus di Carlo e il manuale alcuiniano sembrano inoltre fondarsi su un pugno di testi dialettici riscontrabili integralmente in un codex appartenuto a Leidrado di Lione e redatto negli ultimi anni del secolo VIII. L'ultima parte della tesi ipotizza quindi un legame tra Leidrado e il gruppo redazionale dei Libri Carolini: proprio i suoi due principali discepoli, Agobardo di Lione e Claudio di Torino, sembrano aver portato avanti, nella generazione successiva, delle istanze che, anche se più radicalizzate in direzione iconoclasta, sembrano ispirate direttamente dal concetto di immagine come res insensata isolato nell'Opus. [a cura dell'autore]
Descrizione: 2010 - 2011
URI: http://hdl.handle.net/10556/1296
http://dx.doi.org/10.14273/unisa-174
È visualizzato nelle collezioni:Filosofia, scienze e cultura dell'età tardo-antica, medievale e umanistica

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