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Titolo: Profili evolutivi della nuova disciplina del commercio
Autore: D'Apuzzo, Eugenio
Marenghi, Enzo Maria
Parole chiave: Commercio
Data: 21-nov-2011
Abstract: Il sistema distributivo italiano è stato per lungo tempo caratterizzato, almeno fino all’emanazione del D. Lgs. 114/1998, da una rigida programmazione e da una pianificazione dello sviluppo economico. La legge 11 giugno 1971 n. 426 aveva infatti previsto una programmazione degli insediamenti commerciali attuata attraverso i piani di sviluppo e di adeguamento della rete di vendita (artt. 11 e 12). Scopo di tali piani era di “assicurare la migliore funzionalità e produttività del servizio da rendere al consumatore e il maggior possibile equilibrio tra installazioni commerciali a posto fisso e la presumibile capacità di domanda della popolazione stabilmente residente e fluttuante, tenuto conto anche delle funzioni svolte dall’ambulantato e da altre forme di distribuzioni in uso ”.Il sindaco poteva rilasciare, nel rispetto del piano comunale, l’autorizzazione all’apertura di un esercizio commerciale, previo parere favorevole della commissione comunale istituita, e nel caso delle grandi strutture di vendita solo dopo aver ottenuto il nulla osta alla nuova apertura da parte delle regione. Nella vigenza di tale normativa, quindi, l’autorizzazione commerciale era rilasciata nel rispetto delle linee programmatiche elaborate a livello comunale. La pianificazione prevista realizzava un equilibrio statico del mercato, fortemente protezionistico e preclusivo all’ingresso di nuovi operatori economici.Agli inizi degli anni ’90, contemporaneamente alle politiche di liberalizzazione avviate, si è avvertita anche nel campo del commercio, la necessità di limitare l’affermazione autoritativa statale e, in un’ottica di promozione della libertà d’iniziativa privata, si è auspicato un diverso ruolo, di controllo e di equilibrio degli assetti economici (Cap. I). Basti pensare all’introduzione, nell’ambito della legge generale sul procedimento amministrativo (L.241/1990) di un apposito capo - quello della semplificazione amministrativa - e alla previsione di istituti quali il silenzio – assenso e la DIA applicabili nel campo dell’iniziativa privata. Con il D. Lgs. 31 marzo 1998 n. 114, emanato in attuazione della legge delega n. 59/1997, il legislatore ha riformato l’intera materia. La normativa de qua costituisce una vera e propria “legge quadro” sul commercio, delineando i principi generali e gli istituti fondamentali, come lo si desume dalla stessa portata dell’art.1, comma 1, a tenore del quale, “il presente decreto stabilisce i principi e le norme generali sull’esercizio dell’attività amministrativa”. La ratio dell’intervento di riforma va senz’altro individuato nella necessità, non solo di adeguare la disciplina del commercio ai principi comunitari relativi alla libertà d’impresa, di circolazione delle merci e di libera concorrenza, ma anche nell’esigenza divenuta improcrastinabile, di modernizzare la rete distributiva in nome del pluralismo tra le diverse strutture di vendita (Cap. II). Tra gli aspetti di maggiore rilevanza introdotti dalla riforma Bersani, vi è l’abrogazione del REC (registro esercenti il commercio), prima necessario per poter intraprendere un’attività commerciale, la liberalizzazione degli orari degli esercizi commerciali, la suddivisione in due macro – categorie delle tabelle merceologiche (alimentari e non alimentari), la suddivisione delle strutture di vendita in tre livelli: a) esercizi di vicinato, b) medie strutture di vendita, c) grandi strutture di vendita. Il regime autorizzatorio permane solo per le medie e per le grandi strutture di vendita sottoposte comunque ad un procedura semplificata, quello del silenzio – assenso, mentre per gli esercizi di vicinato il legislatore ha optato a favore della piena liberalizzazione. E’ infatti prevista la sola comunicazione di apertura al comune competente e l’attività potrà essere intrapresa decorsi trenta giorni dalla comunicazione. La pianificazione commerciale che aveva caratterizzato la disciplina previgente scompare del tutto per i piccoli esercizi commerciali (cd. esercizi di vicinato); permane, invece, per le medie e per le grandi strutture di vendita. Il legislatore, a tal fine, affida alle regioni (art. 6 D. Lgs. 31 marzo 1998 n. 114) la definizione degli indirizzi di programmazione riferiti al settore commerciale, la cui attuazione è rimessa all’ente locale attraverso i propri strumenti urbanistici. Ne deriva una notevole compressione dell’autonomia dell’ente locale, la cui potestà in materia di pianificazione commerciale è oggi circoscritta all’attuazione degli indirizzi regionali. La riforma del ‘98 ha il pregio di realizzare un modello di pianificazione congiunta, che vede la disciplina del commercio complementare a quella dell’urbanistica. In tal modo viene superata quella concezione, a lunga sostenuta anche dalla giurisprudenza, che considerava l’interesse pubblico distinto nell’urbanistica e nel commercio (Cap. III). Il legislatore inserisce infatti le previsioni di programmazione commerciale nell’ambito delle disposizioni di pianificazione urbanistica. La correlazione così realizzata tra urbanistica e commercio trova concreta attuazione nel rilascio dell’autorizzazione commerciale, che presuppone la conformità dell’immobile alla disciplina urbanistica – edilizia, con la conseguenza che l’autorizzazione in oggetto non potrà essere rilasciata se l’immobile è abusivo o comunque non risponda alle prescrizioni legali in materia edilizia. Con la riforma costituzionale n. 3/2001, la disciplina del commercio è divenuta materia di competenza legislativa residuale delle regioni, con la conseguenza che le regioni hanno in materia piena potestà, anche diversamente dall’attuale normativa statale, con il solo limite dei principi espressi dalla legislazione statale (si pensi al silenzio – assenso) e dei principi comunitari tra cui quello della concorrenza. Il processo di liberalizzazione delle attività commerciali iniziato nel ’98 è proseguito con il decreto – legge 4 luglio 2006 n. 223, di conversione della L. 4 agosto 2006 n. 248, comunemente noto come decreto Bersani – Visco dal nome dei due ministri proponenti.Come ha osservato la Corte Costituzionale , l’intervento del legislatore va individuato nell’esigenza di realizzare nel settore della distribuzione commerciale un equilibrio di mercato fondato sulla effettiva concorrenza, eliminando ogni forma di programmazione dell’offerta, sia amministrativa, sia normativa, in piena coerenza con gli obiettivi di liberalizzazione. Ed infatti come ebbe a modo di precisare la stessa giurisprudenza “le disposizioni della legge 248/2006.., impediscono alle Amministrazioni di adottare misure regolatorie che incidano, direttamente o indirettamente sull’equilibrio tra domanda e offerta, che deve invece determinarsi in base alle sole regole del mercato”. Nonostante gli interventi di riforma, la normativa italiana sul commercio è apparsa inadeguata rispetto alla necessità, avvertita in ambito europeo, di realizzare un mercato comune in grado di garantire condizioni di effettiva parità tra gli operatori economici. Queste esigenze non si sono fatte attendere, e con il D. Lgs. 26 marzo 2010 n.59 l’ordinamento italiano ha recepito la direttiva del Parlamento e del Consiglio europeo 2006/123/CEE relativa ai servizi nel mercato interno, (cd. direttiva servizi) sulla base dei principi e dei criteri di delega contenuti nell’art. 41 della L. 7.7. 2009 n. 88 (legge comunitaria 2008). La direttiva si propone di favorire lo sviluppo del mercato comunitario dei servizi attraverso l’eliminazione di tutti gli ostacoli di ordine giuridico che si frappongono alla libera circolazione delle merci, ostacoli spesso dissimulati anche dall’eccesso di burocrazia. Il legislatore comunitario circoscrive la portata del regime autorizzatorio a quelle attività economiche per le quali l’atto di assenso preventivo risponde a preminenti motivi di interesse generale quali l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza, la sanità pubblica, la tutela del consumatore, etcc. Lapidare è in tal senso l’art. 14, 1° comma del D. Lgs. n. 59/2010 prevede che …. “regimi autorizzatori possono essere istituiti o mantenuti solo se giustificati da motivi imperativi di interesse generale, nel rispetto dei principi di non discriminazione, di proporzionalità,nonché delle disposizioni di cui al presente titolo”. Al di fuori di queste ipotesi, le attività economiche andrebbero liberalizzate. Nel campo degli esercizi commerciali, la novità principale è rappresentata dalla previsione della DIA ad efficacia immediata per l’apertura degli esercizi di vicinato. Con la legge 122/2010, di conversione del decreto – legge n. 78/2010, (entrata in vigore pochi mesi dopo il recepimento della direttiva servizi), il legislatore, nel riformulare l’art. 19 L. 241/1990 ha sostituito alla dichiarazione di inizio attività, la segnalazione certificata di inizio attività (cd. SCIA) che consente l’apertura immediata dell’esercizio commerciale di vicinato. A seguito del recepimento della direttiva servizi, le regioni dovranno adeguare la normativa sul commercio ai principi - guida sanciti dal legislatore comunitario. Occorre sul punto precisare che le disposizioni del decreto attuativo della direttiva servizi trovano immediata applicazione e prevalgono sulle vigenti disposizioni regionali in caso di difformità. Infatti l’art. 84, 1comma, D. Lgs. n 59/2010 contiene una clausola di cedevolezza, secondo la quale,”… nella misura in cui incidono su materie di competenza esclusiva regionale e su materie di competenza concorrente, le disposizioni del presente decreto si applicano fino alla data di entrata in vigore della normativa di attuazione della direttiva 2006/123/CEE, adottata da ciascuna regione e provincia autonoma nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dei principi fondamentali desumibili dal presente decreto”. Diverse regioni prevedono ancora limiti quantitativi e contingentamenti all’insediamento delle medie e delle grandi strutture di vendita. Tali misure collidono con il libero mercato, per cui sarebbe auspicabile realizzare una programmazione degli insediamenti commerciali che elimini il contingentamento numerico e che tenga conto in concreto della singola iniziativa economica, valutandola alla luce di vari parametri, quali la viabilità, il traffico, la presenza di adeguati standard di parcheggi: in definitiva in rapporto alle esigenza di tutela del territorio. La programmazione della grande distribuzione deve garantire sul territorio la presenza di tutte le tipologie distributive senza creare situazioni di monopolio. Un ultimo aspetto che merita attenzione attiene al mantenimento o meno del regime di pianificazione per le medie e le grandi strutture (Cap. III). La programmazione degli insediamenti di grandi respiro rientra tra i motivi d’interesse generale per i quali si giustifica il mantenimento del regime autorizzatorio. Una tale scelta appare conforme anche al principio comunitario di proporzionalità, in quanto forme di controllo a posteriori non sarebbero idonee a preservare interessi primari, quali la vivibilità degli spazi urbani, la salubrità dell’ambiente, la protezione dell’assetto urbano, quest’ultimo potenzialmente compromesso o da una eccessiva proliferazione di grandi strutture di vendita o al contrario mortificato da fenomeni di desertificazione commerciali. Realizzate queste condizioni la normativa italiana potrà soddisfare quella modernizzazione della distribuzione commerciale da anni auspicata e non del tutto ancora attuata. Uno stimolo sarà sicuramente dato dalla operatività del nuovo Sportello unico per le attività produttive (SUAP) che nella versione delineata dal D.P.R. 160/2010 consentirà uno snellimento delle procedure burocratiche, una unificazione dei procedimenti a vantaggio della libera iniziativa privata. [Introduzione a cura dell'autore]
Descrizione: 2009 - 2010
URI: http://hdl.handle.net/10556/197
È visualizzato nelle collezioni:Teoria e storia delle istituzioni politiche italiane comparate. Il declino dello Stato-Nazione

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