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dc.contributor.authorFontana, Luciana
dc.date.accessioned2014-07-09T08:07:43Z
dc.date.available2014-07-09T08:07:43Z
dc.date.issued2014-03-24
dc.identifier.urihttp://hdl.handle.net/10556/1470
dc.identifier.urihttp://dx.doi.org/10.14273/unisa-313
dc.description2011 - 2012en_US
dc.description.abstractLo sviluppo dell’imprenditorialità – e la nascita di nuove società che esso implica – costituisce la condizione per promuovere innovazioni tecnologiche e di prodotto, così come dello sviluppo economico. In conseguenza, alla base dell’innovazione, si ritrova l’imprenditorialità innovativa, in quanto dotata di management di alto livello e in grado di creare valore per i clienti, gli azionisti e lo stesso territorio. La letteratura sull’imprenditorialità incentra la propria attenzione sugli aspetti cognitivi che conducono l’individuo ad identificare le opportunità di business per la creazione di nuove società. Le teorie relative alle opportunità imprenditoriali affermano che l’imprenditorialità è influenzata dall’ambiente esterno e dal modo secondo cui le società vi si relazionano. In questa prospettiva, il così detto modello Closed Innovation – tutto deriva dalla società stessa – è sostituito dal Modello Open Innovation, secondo cui le società possono sia ottenere idee, conoscenza e tecnologie, non posseduta, dall’esterno, sia trasferire idee, conoscenza e tecnologie, possedute, ad altre società. Il Modello Open Innovation assiste lo sviluppo imprenditoriale innovativo, consentendo all’attento uomo d’affari di individuare l’opportunità di business. Certo, il principale rischio implicato dal Modello Open Innovation sta nella gestione della proprietà intellettuale, atteso che l’apertura garantisce marcata trasparenza nella comunicazione e costituisce, per tale ragione, una fonte di potenziali comportamenti opportunistici. L’imprenditore innovative deve selezionare la migliore strategia al fine di gestire la conoscenza prodotta. Peraltro, il Modello Open Innovation promuove collaborazioni e processi di “deverticalizzazione” come nel caso dell’outsourcing. Mentre molti uomini d’affari considerano l’outsourcing come una strategia di business, altri lo considerano come un’opportunità imprenditoriale. Le conclusioni teoriche sopra descritte trovano conferma nei settori biotech e farmaceutico. Secondo questi paradigmi, nel settore biofarmaceutica le CRO (Contract Research Organizations) stanno accrescendo il proprio ruolo e la propria importanza. Le CRO sono società dotate di know how farmaceutico a forniscono servizi specialmente in outsourcing. Le principali Contract Research Organizations sono Quintiles, Covance, Pharmaceutical Product Development (PPD), Parexel, Icon Clinical (ICON), Charles River Laboratories (CRL), MDS, Kendle, PRA International, InVentiv Health Clinical, le quail dominano il mercato globale e costantemente aumentano il proprio fatturato. L’analisi degli investimenti e del comportamento sul mercato delle CRO rivela il loro crescente interesse nella delocalizzazione delle proprie attività, soprattutto nei Paesi BRICS, in ragione dei vantaggi normativi e fiscali che qui esse rinvengono. In effetti, nelle aree BRICS, le CRO stanno progressivamente spostando non solo la propria produzione ma anche la sperimentazione clinica del farmaco e le principali fasi dello sviluppo farmaceutico del prodotto. Nel corso del tempo, le CRO hanno cambiato il proprio modello di business al fini di garantire crescente flessibilità e qualità nella fornitura di servizi per i clienti, così come nel ricercare soluzioni adatte ai bisogni differenziati del settore biofarmaceutica. Secondo questa tendenza, le CRO 2.0 e l’outsourcing virtuale si apprestano ad identificare il modello futuro della nuova generazione CRO. Mentre il contest internazionale nel quale le CRO sono solite agire trova compita descrizione in letteratura, lo stesso non si verifica con riguardo al panorama italiano. In questa prospettiva, il nostro lavoro ambisce a investigare e analizzare il settore delle CRO in Italia. Al fine di raggiungere tale obiettivo, è stata inviata a cinquanta CRO una intervista, assumendo l’11° Rapporto Nazionale della sperimentazione quale fonte per l’identificazione delle loro generalità. I dati a disposizione su cui l’analisi si è incentrata dimostrano chiaramente una tendenza di crescita delle CRO nel mercato italiano. Tale affermazione è valida e veritiera sia con riguardo alle CRO italiane nate da imprenditori italiani sia con riferimento alle sedi italiane di CRO multinazionali. Le prime, comunque, sostanzialmente, seppur lentamente, tendono ad imitare i modelli internazionali, sebbene preferiscono scegliere differenti strategie anche nelle proprie politiche di delocalizzazione, secondo differenti cultura ed approccio imprenditoriale. In ogni caso, in Italia, entrambe le tipologie di CRO incontrano ostacoli normative, burocratici e finanziari – sottolineati nel lavoro – che rappresentano il limite reale nel processo di crescita dell’esperienza della CRO italiana rispetto ai competitors internazionali. [a cura dell'autore]en_US
dc.language.isoiten_US
dc.publisherUniversita degli studi di Salernoen_US
dc.subjectCROen_US
dc.titleOpen Innovation e imprenditorialità: la Contract Research Organization (CRO) come risposta del settore biofarmaceuticoen_US
dc.typeDoctoral Thesisen_US
dc.subject.miurSECS-P/08 ECONOMIA E GESTIONE DELLE IMPRESEen_US
dc.contributor.coordinatoreAmendola, Alessandraen_US
dc.description.cicloXI n.s.en_US
dc.contributor.tutorParente, Robertoen_US
dc.identifier.DipartimentoScienze Economiche e Statisticheen_US
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