dc.description.abstract | Il XX secolo è stato il periodo in cui si è avuta la maggiore produzione edilizia e in cui si è andata a
delineare la configurazione attualmente prevalente delle città e dei territori. In esso si riscontra un
fiorire di innovazioni sia tecnologiche sia formali che sono testimonianza del passaggio
fondamentale dalle tecniche tradizionali, di impronta artigianale, alle moderne tecniche industriali.
E’ evidente che sia totalmente improponibile una museificazione dell’intero patrimonio
architettonico di tale periodo storico sia per la insostenibilità politica ed economica, sia perché priva
di alcun fondamento culturale. Nasce, quindi, la necessità di individuare quali siano i criteri per
decidere se un’ opera sia o meno idonea per essere tramandata alle generazioni future e quali siano
le metodologie di conservazione più corrette.
A differenza del patrimonio edilizio storico, quello moderno presenta alcuni problemi diversi.
Il suo degrado è spesso sia costruttivo che prestazionale e i motivi della sua salvaguardia possono
essere, contemporaneamente: collegati al proprio valore storico-artistico, si impone, quindi, il
rispetto del manufatto in ogni sua forma e significato; e non collegati a tale valenza, si necessita, in
tal caso, manterne il valore generale (economico, ecologico, sociale).
In altre parole, la conservazione del Moderno impone di tenere in vita sia l’icona che l’ordinario,
riconoscendone il valore socio-culturale e, allo stesso tempo, facendo perdurare la sua validità
economica.
Il lavoro di ricerca si articola in tre fasi.
La prima è finalizzata ad indagare lo “stato dell’arte” del recupero del patrimonio architettonico
moderno e contemporaneo. Per fare ciò è necessario analizzare il quadro normativo vigente sia a
livello europeo, sia nazionale, sia regionale. Successivamente bisognerà analizzare le attuali
posizioni del mondo scientifico-culturale.
La seconda fase è quella di analisi dei casi studio. Dopo un primo momento di ricerca storicobibliografica,
si è proceduto all’ analisi dello stato di fatto, e, successivamente, all’analisi delle
problematiche rilevate.
In primo luogo è stata presa in analisi la Chiesa della Sacra Famiglia, sita all’interno del quartiere
Fratte di Salerno e progettata da Paolo Portoghesi e Vittorio Gigliotti nel 1968. I progettisti creano
lo spazio, inteso come insieme di luoghi, cui è associata una specifica funzione, utilizzando setti
curvi in calcestruzzo armato. In realtà tutto il progetto nasce dall’individuazione di sei centri che
diventano fulcri di determinate attività. L’interno è caratterizzato dalla presenza di tre centri che
generano altrettante volte che poggiano su setti circolari e il tutto è unito da un’unica cupola, in
modo da manifestare il concetto di “uno e trino”. Gli altri tre centri individuano la sistemazione
esterna. L'analisi di tale opera ha portato ad affrontare in maniera accurata la tematica relativa al
degrado del materiale che più di ogni altro ha caratterizzato l'architettura del XX sec.: il
calcestruzzo armato. Dopo aver affrontato le varie cause che innescano i fenomeni di degrado e le
varie tecniche di ripristino, si è elaborato un lessico atto a individuare i vari fenomeni presenti in
una struttura in calcestruzzo.
Secondo caso-studio è la fabbrica Landis&Gyr, realizzata negli anni ‘62-’65 nella piana del
Piacentino a sud di Salerno, e progettata da Luigi Cosenza. Peculiarità di tutta l’opera di Luigi
Cosenza è quella di umanizzare quelli che erano i principi del Razionalismo. La persona che dovrà
poi usufruire del bene architettonico diviene soggetto del pensiero progettuale, che nasce
dall’analisi delle sue esigenze. E’ per questo motivo che egli cambia in modo radicale il modo di
progettare una fabbrica, non pensando solo alle esigenze delle macchine, ma, soprattutto, a quelle
degli operai, avendo la convinzione che il rendimento non possa che aumentare quando vi sia un
perfetto equilibrio fisico e spirituale. Lo spazio nasce, quindi, dall’analisi della posizione delle
macchine e degli addetti, e non viceversa. Visto lo stato in cui versa attualmente questa opera, in
questo caso l'attenzione si è focalizzata circa la possibilità di rifunzionalizzare un bene nel rispetto
delle sue peculiarità e, allo stesso tempo, creando un aumento del valore economico e sociale.
Infine si è presa in esame la fabbrica delle Ceramiche Solimene, realizzata negli anni 1952-54 a
Vietri (Sa), e progettata da Paolo Soleri. Essa si sviluppa su un lotto esiguo, delimitato da una parete
rocciosa, fortemente scoscesa, e dalla strada d’ingresso a Vietri sul Mare. Lo sviluppo di una rampa
interna, che poggia su pilastri simili ad alberi pietrificati, seguendo l’inclinazione della parete
esterna, crea un architettura che è contemporaneamente di sosta e di percorso, poiché lungo il suo
sviluppo si articolano le varie fasi lavorative e si vengono a definire le postazioni di lavoro dei vari
operai. E’ sicuramente questo un’eccezionale esempio di Architettura Organica pienamente
integrata nel paesaggio vietrese fatto non solo di flora, ma anche di architettura vernacolare. Questa
architettura ha messo in evidenza il problema dell'adeguamento nei riguardi sia della sicurezza, sia
del miglioramento energetico, sia dell'innovazione tecnologica.
L'ultima fase della ricerca è stata quella relativa alla formulazione di una proposta di metodologia di
intervento sul patrimonio architettonico moderno e contemporaneo. [a cura dell'autore] | en_US |