Tra ordo rerum e ordo verborum. ‛Verità’ e ‛realtà’ nella letteratura teologica del primo secolo XII: tre casi esemplari (Oddone di Tournai, Guglielmo di Champeaux, Roscellino di Compiègne)
Abstract
La storiografia della seconda metà del ventesimo secolo ha in più occasioni evidenziato la
centralità del dibattito teologico emerso tra la seconda metà del secolo XI e i primi decenni del
secolo XII per lo sviluppo di una prima compiuta riflessione sullo statuto epistemologico del sapere
teologico e del suo linguaggio. Tra gli autori attivi in questo arco cronologico, particolare rilevanza
assumono le figure di Oddone di Tournai, Guglielmo di Champeaux e Roscellino di Compiègne,
maestri attivi in area francese, uniti dalla condivisione di un percorso curriculare comune ma divisi
dalle posizioni assunte su quella che la storiografia ha comunemente (e in parte impropriamente)
definito ‘questione degli universali’.
La tesi si articola in tre capitoli, incentrati sulla disamina di testi utili alla ricostruzione
delle più significative tesi dei tre maestri. In particolare, nel primo capitolo, sulla base delle
informazioni tratte da commenti frammentari riportati alla luce in tempi recenti e attribuiti dagli
studiosi in maniera non sempre unanime a Guglielmo di Champeaux, e delle Sententiae vel
quaestiones raccolte in un florilegio noto come Liber Pancrisis, è stato possibile ricostruire le linee
principali del curriculum studiorum delle scuole a cavallo tra i secoli XI e XII, di cui Guglielmo era –
agli occhi dei contemporanei e a dispetto di quanto sia passato alla storia attraverso la testimonianza
abelardiana – una delle colonne portanti (columna doctorum). Si delinea, dunque, dall'analisi di
questi materiali, la figura di un rinomato magister pienamente coerente con il paradigma
epistemologico della tradizione aristotelico-boeziana e con il conseguente esemplarismo di matrice
agostiniana. Nel suo magistero, Guglielmo utilizza gli strumenti provenienti dalla sapienza antica
calati nelle forme di un sapere moderno, elaborando così, nel vivo del dibattito tra antiqui e
moderni, una sottile speculazione teologica. I temi principali, dal peccato originale
all’incarnazione, sono stati, nel presente lavoro, ricollocati, rispetto all’ordine attribuito dall’editore
moderno delle Sententiae, in un percorso che evidenzia una visione platonizzante del reale che, da
un punto di vista logico, conduce il pensiero ad ascendere dalle res agli universali mentre, da un
punto di vista teologico, presupponendo l’esistenza dei principi di tutte le cose nel Verbo divino,
postula una discesa del reale da tali principi. Il capitolo presta particolare attenzione al lessico
utilizzato da Guglielmo e alla riproposizione della partizione neoplatonica e, ancora una volta,
boeziana della facoltà conoscitive dell'uomo. Lo studio delle arti del trivio, scienze del discorso
umano, costituisce infatti la base per indirizzare l’uomo verso una comprensione del discorso divino
quale sapere teologico. È nell’incontro di tali discipline e nella coesistenza dei loro intenti che, in
quella che sembra essere la proposta speculativa di Guglielmo, si determinano i presupposti di una
teoria della conoscenza capace di assicurare al suo interno la fondamentale coesione tra l’ordine
dell’universo – così come è stato pensato e creato da Dio – e la capacità affidata all’uomo di
ricostruirne la struttura.
L’insegnamento della dialettica, l’allontanamento dall’attività magistrale, la scelta del
silenzio e del deserto interiore, la dimensione comunitaria della vita religiosa adattata all’ideale
eremitico e il concreto impegno, in veste di vescovo, nella riforma di una Chiesa sempre più
dilaniata dagli scontri tra papato e impero, accomunano la figura di Oddone di Tournai ai percorsi
esistenziali degli altri attori – come lui non protagonisti – del passaggio dal secolo XI al XII, come
nel caso specifico del maestro di Champeaux. È, dunque, forse possibile parlare di una linea di
pensiero condivisa, capace di intercettare autori geograficamente e spiritualmente distanti tra loro;
si tratta di quella linea che pur avendo avuto un cominciamento lontano si è accresciuta nel corso
dei secoli dell’alto Medioevo, nutrendosi del contributo di tutti coloro che, attraverso diverse forme,
hanno partecipato, nell’adesione a un paradigma esemplarista, dell’ideale platonico calandolo in
una realtà storico-culturale di volta in volta differente.
Il secondo capitolo si articola principalmente sull’analisi di una delle opere di Oddone, il
De peccato originali, dalla cui lettura emergono il metodo dialettico utilizzato dal maestro per
sciogliere le numerose difficoltà dogmatiche che emergono nell'analisi filosofico-dottrinaria del
tema del peccato originale e, al contempo, il lessico e la struttura epistemologica del medesimo
paradigma già evidenziato nel capitolo precedente. La teatrale riproposizione del dibattito tra le
diverse dottrine che si sono avvicendate nel corso dei secoli sul tema del peccato originale messa in
campo da Oddone consente, in misura ancora maggiore rispetto all’esperienza del laboratorio
teologico delle Sententiae di Guglielmo, di entrare nel vivo di un dibattito la cui portata,
nell’imminente passaggio di paradigma, sarebbe stata non solo teologica ma anche e soprattutto
epistemologica. Tutto questo esploderà in un vero e proprio conflitto dottrinario – analizzato nel
terzo e ultimo capitolo – i cui protagonisti (Roscellino, Abelardo e Anselmo) si colpiscono
vicendevolmente con il gladius della dialettica; la tesi punta dunque a evidenziare – anche grazie a
una mirata collocazione delle diverse opere analizzate in un climax di crescente intensità espressiva
– la drammaticità speculativa di un momento di passaggio della storia della filosofia medievale
costituito, al contempo, da grande ricchezza speculativa, ma anche da una forte frammentazione
terminologica e dottrinaria.
Nel terzo capitolo, l’analisi del pensiero di Roscellino di Compiègne – solitamente
collocato agli antipodi del realismo caratterizzante le posizioni dei primi due autori – e del dibattito
sul tema trinitario innescato dall’applicazione della dottrina nominalista alla sostanza divina nasce
dall'esigenza di condurre una valutazione sulla terminologia utilizzata nei testi presi in esame che
costituisce il loro perimetro di condivisione. L'unico testo a disposizione degli studiosi per
ricostruire la dottrina di Roscellino, una lettera diffamatoria indirizzata ad Abelardo, intercetta,
nell'incontro con altre significative testimonianze, in modo particolare l’Epistola de Incarnatione
Verbi di Anselmo, una Epistola indirizzata al vescovo di Parigi e la Theologia Summi Boni di
Abelardo, le rotte su cui si muoveva il dibattito teologico nel fertile periodo preso in esame in
questo lavoro. La scelta di mettere in relazione la posizione di Roscellino con quelle ‘realiste’ di
Guglielmo e Oddone offre, per il tramite di una analisi testuale – particolarmente attenta alla scelte
terminologiche e alle differenze che vocaboli fondamentali, quali substantia, essentia, persona, singularitas, communitas, idem e diverso – un viaggio in un melieu culturale, filosofico e religioso in cui la ‘verità’ poteva e doveva ancora essere raccontata attraverso una ‘realtà’ il più possibile vicina a quella pensata da Dio, nella più esaustiva corrispondenza di ordo rerum, ordo verborum e ordo idearum.[a cura dell'autore]