Libertà religiosa e dimensione collettiva della libertà di non credere. Nuove tensioni e prospettive
Abstract
Il lavoro di tesi affronta il tema della libertà religiosa collettiva, con particolare
riguardo alla posizione che oggi occupano all’interno del panorama nazionale ed
europeo i soggetti atei, per via dei profili di ambiguità che caratterizzano il loro
inquadramento giuridico.
Manca infatti, all’interno della nostra Carta Costituzionale, un esplicito riferimento alla
non credenza ed all’ateismo, in linea con l’assenza di qualsiasi riferimento al profilo
negativo della libertà religiosa. Se infatti quest’ultimo non si riconosce espressamente,
la sua esistenza è divenuta ormai innegabile per via della diffusione non soltanto di
tutta una serie di nuovi fenomeni religiosi (ben lontani dalle religioni tradizionali di
maggioranza), quanto soprattutto per via dell’emersione di nuove esigenze collettive,
volte al riconoscimento della libertà di non credere o di credere.
La parte centrale del lavoro è focalizzata sull’analisi dell’ormai celebre vicenda
giudiziaria dell’Associazione degli Atei Agnostici Razionalisti Italiani (UAAR),
avviata per il riconoscimento di un generale diritto all’accesso all’intesa ex art. 8,
comma 3, della Costituzione, anche in assenza dell’elemento confessionale, e
conclusasi dinnanzi alla Corte Costituzionale con sentenza 52/2016.
Partendo dal disconoscimento ad opera della Consulta dell’esistenza di una pretesa di
avvio alle trattative per l’intesa, passando per l’inquadramento della funzione dello
strumento intesa ex art. 8, comma 3 Cost. e per l’attribuzione al Consiglio dei Ministri
circa l’opportunità di stipulare intesa con lo Stato, si è arrivati ad affermare l’esistenza
di un generale diritto all’eguale libertà per le confessioni religiose, anche in attesa di
intesa.
Il lavoro ha poi cercato di inquadrare la questione alla luce dell’art. 9 della CEDU,
anche in vista della prossima pronuncia che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo
dovrà rendere sul ricorso presentato dall’UAAR.
Attraverso una disamina della giurisprudenza convenzionale e dottrinale sul punto,
nonché degli ipotetici riflessi indiretti che sulla stessa potrebbero derivare dal diritto
comunitario e dall’art. 17 TFUE, il lavoro è giunto alla conclusione che verosimilmente
l’esito del ricorso sarà difficilmente favorevole all’associazione atea, in quanto
difficilmente si prevede un deciso cambio di rotta nella direzione di un innalzamento
qualitativo del grado di tutela della libertà religiosa.
Il lavoro non si è limitato ad analizzare la questione de iure condito, ma ha anche
analizzato la recente bozza del progetto di legge proposta della Fondazione Astrid per
regolamentare l’intero fenomeno religioso in Italia, basato sulla volontà di sviluppare
il principio di laicità in maniera più condivisa ed armonica con il sistema pattizio,
attraverso il respingimento della tendenza a relegare la religiosità all’interno della
generale ed asettica categoria del “no profit”, nonché di riaffermare il principio di
distinzione degli ordini, ritenuto essenziale per il rafforzamento delle democrazie
contemporanee. [a cura dell'autore]