dc.description.abstract | L’individuazione dei rimedi civilistici al contratto con usura reale costituisce un tema
centrale nello studio del fenomeno usurario e delle tematiche ad esso sottese. La questione
si è posta in ragione dell’assenza nel vigente apparato sanzionatorio di una disciplina espressa
che, al pari di quanto previsto dall’art. 1815, comma 2, c.c. in materia di usura pecuniaria, sia
diretta a stabilire il regime civilistico applicabile al contratto con usura reale.
Tale ‘lacuna’ ordinamentale, determinatasi a causa della disarmonia legislativa tra la
vigente formulazione letterale dell’illecito di cui all’art. 644, comma 3, c.p. e la disciplina
dell’azione generale di rescissione per lesione di cui all’art. 1448 c.c. (che era stata
tradizionalmente considerata il corrispondente civilistico dell’usura), ha indotto la dottrina
ad individuare, alla luce dei principi generali e degli spunti di carattere sistematico desumibili
dal vigente quadro normativo, le conseguenze civilistiche del contratto con usura reale.
In questa prospettiva, le diverse ricostruzioni ermeneutiche che si sono sviluppate
hanno affermato, alternativamente, la nullità del contratto concluso in violazione dell’art.
644, comma 3, c.p., ovvero la rescindibilità dello stesso, riconoscendo in quest’ultimo caso
un ruolo residuale anche al risarcimento del danno. Le citate ricostruzioni, tuttavia, non
sembrano idonee a garantire al contraente leso una tutela adeguata perché entrambe
determinano lo scioglimento del vincolo contrattuale e, conseguentemente, innescano gli
effetti restitutori tipicamente connessi all’esercizio dell’azione di nullità e di rescissione. Gli
effetti che si determinano a seguito dello scioglimento del vincolo contrattuale non risultano
compatibili con il bisogno di tutela del contraente leso il quale, invero, non ha alcun interesse
alla restituzione delle risorse (siano essere finanziarie o meno) conseguite per effetto dello
scambio ‘illecito’ – risorse che, peraltro, come sovente accade, egli potrebbe aver già
impiegato per far fronte alla condizione di difficoltà economica che lo aveva indotto a
contrarre – né, tantomeno, alla restituzione del/i bene/i trasferiti al reo creditore.
Per tali ragioni, è possibile tentare di ipotizzare un rimedio diverso da quelli sopra
richiamati e, dunque, andare oltre la tesi della nullità e della rescissione del contratto con
usura reale. Tale tentativo ricostruttivo ha come obiettivo quello di attribuire al contraente
leso di un rimedio che tenga in debita considerazione la reale esigenza di tutela da
quest’ultimo avvertita e che, alla luce del principio costituzionale di effettività, conduca alla
concreta rimozione dei pregiudizi che si verificano nei casi di usura reale.
L’operazione ermeneutica che ci si propone di realizzare – fondata sulla
giuridicizzazione dell’effettiva esigenza di tutela della vittima dell’usura reale – non può
prescindere, tuttavia, dalla preventiva individuazione dell’interesse del contraente leso e il
correlato bisogno di tutela.
Da tale punto di vista, l’analisi delle operazioni negoziali nell’ambito delle quali si
manifesta il fenomeno dell’usura reale evidenzia come l’elemento che concorre a determinare
l’illiceità della relativa stipulazione debba essere individuato nella sproporzione tra le
prestazioni dedotte in contratto il cui carattere usurario è dato, non solo dalla differenza
significativa del loro valore, ma anche dalle modalità tramite le quali parti addivengono alla
stipulazione del negozio e dalle condizioni di difficoltà finanziaria del debitore, le quali invero
rappresentano il principale motivo per cui quest’ultimo si determina a contrarre.
Dall’osservazione delle diverse declinazioni del contratto con usura reale emerge,
dunque, come il bisogno di tutela del contraente leso consista, in realtà, nell’interesse di
quest’ultimo a realizzare il programma negoziale, purché lo stesso sia preventivamente
depurato dai suoi elementi di illiceità (i.e. dalla sproporzione usuraria). Non risulta, pertanto,
irragionevole ritenere che la manutenzione del contratto depurato dall’originario illecito
squilibrio sinallagmatico costituisca l’interesse meritevole di tutela del contraente leso e che,
conseguentemente, il rimedio che consente di effettivamente soddisfare tale bisogno di tutela
consiste nel diritto del medesimo contraente leso ad ottenere la modificazione dei termini e
delle condizioni del contratto così da ricondurre lo scambio a condizioni di efficienza e
razionalità economica.
Tale soluzione, oltre a conformarsi al generale principio di tutela della certezza dei
traffici giuridici e di manutenzione del contratto, risulta suffragata dal fatto che, a ben vedere,
l’interesse alla manutenzione del contratto previa depurazione dello stesso dagli elementi che
ne connotano lo squilibrio, è già considerato meritevole di tutela dall’ordinamento tanto da
costituire il fondamento del diritto alla riconduzione ad equità nei casi previsti dagli artt.
1384, 1450 e 1467 c.c.
Alla luce delle considerazioni svolte, non è in definitiva irragionevole ritenere che il
riconoscimento in favore del contraente leso di un rimedio che consenta di ristabilire le
condizioni di equilibrio e di razionalità economica dello scambio realizzato in esecuzione del
contratto con usura reale costituisca strumento di giuridicizzazione dell’interesse, invero di
portata generale, alla manutenzione del negozio previa rimozione degli elementi che ne
hanno determinato la sproporzionalità. [a cura dell'autore] | it_IT |