‘Mathematically literate gentlemen’: letteratura e matematica nell’età vittoriana
Abstract
L’episteme vittoriana appariva ampia e dinamica nel xix secolo, risultando
fecondo lo scambio attivo tra saperi distinti: uno scambio che si attuava
tramite le forme di diffusione popolare della cultura, quali la stampa periodica
e il mercato editoriale, ma soprattutto attraverso le accademie, le “societies”
specializzate e le università, vere e proprie fucine di professionalità
complete, nei cui curricula trovavano ugual spazio tanto gli studi umanistici
quanto quelli scientifici, che si confrontavano in maniera assai vivace (ne
è un esempio la querelle su letteratura vs scienza che impegnò intellettuali
come T. H. Huxley e Matthew Arnold negli anni Ottanta dell’Ottocento).
Uno degli esempi più significativi della totale omogeneità del sapere in ambito
vittoriano è costituito dal dibattito sorto nella seconda metà del secolo
in campo matematico sulle geometrie non-euclidee, che coinvolse studiosi
europei operanti in diverse discipline – dalla matematica alla fisica all’architettura
–, con importanti ricadute in ambito letterario. Lo studio della matematica costituiva un prerequisito essenziale alla formazione dei giovani gentlemen vittoriani e si poneva pertanto come
una disciplina non specialistica ma di carattere generale che contribuiva
alla formazione culturale complessiva dell’individuo. Si può stabilire una
corrispondenza tra lo studio e la conoscenza della matematica e le esigenze
pragmatiche decretate dal pensiero positivista che in quegli anni si era
andato affermando: la capacità della matematica di esaltare le virtù pratiche
dell’individuo costituiva un punto di merito rispetto ad altri ambiti
del sapere, e ne favorì l’istituzionalizzazione, rispondendo così a un preciso
disegno didattico-pedagogico.
Il contesto culturale dell’epoca consentiva pertanto un vivace scambio
di saperi e dunque non stupisce scoprire che matematici di professione potessero
volgere allo stesso modo i propri interessi alla letteratura e all’arte in
generale. Tra questi, gli scrittori Lewis Carroll, Edwin A. Abbott e Charles
H. Hinton, dalle cui opere emerge un quadro complesso e sfaccettato in
cui la convergenza del sapere matematico e della inventività narrativa rivela
un’interessante relazione tra le due discipline, all’apparenza distanti ma in
sostanza molto prossime tra loro, in primo luogo per la capacità di generare
universi finzionali. Su alcuni dei testi di questi autori si focalizzerà il mio
contributo: Lewis Carroll, Euclid and His Modern Rivals (1879), Edwin A.
Abbott, Flatland, a Romance of Many Dimensions (1884), Charles H. Hinton,
Scientific Romances (1885).