Annio da Viterbo. Il De Futuris Christianorum. La profezia antiturca durante l’assedio di Otranto ( 1480 )
Abstract
La tesi raccoglie le suggestioni e le posizioni di un ritrovando aristotelismo cosmologico e/o astrologico che, alla fine del XV secolo, propone di conciliare una teologia politica sottendente la possibilità di una Historia Universalis con quel sapere congetturale tacciato come superstizioso e pagano.
L’autore che evidenzia, più di ogni altro, la sintesi di questo processo di fusione storiografica è il domenicano Annio da Viterbo. A questo filo conduttore egli aggiunge motivi collaterali come l’ attribuzione di legittimità filosofica e storica, per così dire, ai suoi così tanto sbrigativamente denigrati falsi anniani. I falsi, in effetti, se da un punto di vista storiografico sono una esercitazione creativa atta a raggirare la canonicità della storia greco-romana, soprattutto quella greca ( è chiaro un antiellenismo conseguente alle spinte centrifughe scismatiche che dal Grande Scisma sino al Concilio di Firenze-Ferrara e anche oltre hanno contraddistinto la messa a rischio della unitarietà della Chiesa e l’ortodossia cristiana ), dall’altro rappresentano un tentativo di riflettere sulla possibilità di scrivere una antistoria all’insegna del recupero di istanze antistatualistiche nel senso di una definizione di entità politiche pre-statali: l’ Epitoma Historiae Viterbiae ne è un exemplum.
La volontà di compiere uno studio sul De futuris Christianorum triumphis in Saracenos nasce dalla avvertita esigenza filosofica di fare luce sul ligamentum tra il senso della successione temporale degli eventi e la dimensione di una visio profetica al tempo della Ecclesia reformanda. Per Annio l’astrologia è non solo una scienza certa ma soprattutto il vero tipo della verità sapienziale ed iniziatica legata ai vaticinia dei profeti così come ci suggerisce Cesare Vasoli ne I miti e gli astri del 1977. Commentando l’Apocalisse il maestro domenicano può facilmente inserirvi le tecniche della previsione astrologica a conferma della sua interpretazione con i risultati cui perviene il ragionamento astrologico condotto secondo i canoni di Albumasar e dell’ aristotelismo arabo promosso dall’albertino Speculum Astronomiae attraverso le auctoritates in esso riportate. L’accostamento inorganico e non sistematico del livello della profezia a quello della letteratura astrologica costituisce l’originalità dell’opera anniana. Il De futuris è scritto nel 1481 dopo la presa di Otranto per mano turca e prima dell’allestimento di un esercito pontificio capeggiato da Alfonso di Calabria e sostenuto da Papa Sisto IV per la liberazione della città salentina. Il trattato funge sia da pronostico mondiale in previsione dell’esito positivo della spedizione sia da glossa all’Apocalisse di Giovanni piegata ad esigenze propagandistiche nel senso della difesa ad oltranza della cultura rigorosamente cristiano- ortodossa. Il Contra Gentiles costituisce l’ impianto ermeneutico della interpretatio anniana: i moti dei pianeti intervengono nei processi di generazione e corruzione in quanto cause seconde. Perché le cose corporali siano rette da cose spirituali è necessario che i corpi superiori siano retti da sostanze intellettuali superiori, i corpi inferiori da sostanze inferiori: su questo si regge l’argomento legittimatorio contenuto nelle prime conclusiones del De futuris visto secundum astronomos ( la seconda parte dell’opera ). Prima degli anni della scoperta dell’America le attese escatologiche acquistano nuovo vigore accanto ad un ritrovato interesse per una renovatio mundi di matrice gioachimita. In un tempo così inquietato trovano posto letture di segni e premonizioni piegate alla personali convinzioni ora dell’uno ora dell’altro pronosticatore. La figura dell’Anticristo viene ad essere identificata di volta in volta con i diversi hostes della Cristianità: ora con i Turchi, ora con Maometto, ora con l’eresiarca Lutero. Nel caso del De futuris l’identificazione viene fatta con la setta maomettana cioè ottomana che, dal seicento, si prolungherebbe sino al tempo di Maometto II il Conquistatore. Dopo che le forze della Ecclesia Romana avranno sconfitto e scongiurato il dominio turco sull’occidente si aprirà una vera e propria possibilità storicizzante per la Monarchia Christi e , così, per l’apertura ad una lettura politico-teologica. Solo dopo la fase della definitiva vittoria della Chiesa su Satana, il vero Anticristo nelle spoglie del turco, si attuerebbe uno stato della Grazia, il momento fondativo della Nuova Gerusalemme a seguito della vera parusia terrena, seconda parusia veniente all’insegna della valorizzazione dei santi e dei martiri, mura e dimensione della Città di Dio. La narratio anniana è pur sempre una interpretatio che eleva la distinzione tra diversi livelli semiologici del testo dell’Apocalisse ad un sistema ermeneutico che seleziona la sostanza stessa del materiale all’interno della storia eventuale. Il senso letterale e quello metaforico prendono mossa dall’interpretazione del portato storico delle due parusiae. Dalla affermazione di una possibilità di applicazione materiale della nubis Danielis alle milizie temporali della Chiesa di Cristo nasce la pretesa di una Monarchia Danielis ovvero di una Monarchia Christi. La seconda parusia essendo della carne inserisce nella historia sacra il carattere della eternità della vita salvata e della morte sine vita dello stagnum ignis di Apocalisse XX. Il tipo di profetismo usato da Annio non può essere ricondotto alle rigide categorie di profetismo messianico e profetismo apocalittico, alla distinzione tra escatologia e apocalisse; esso ricomprende ed include all’interno di una storia della salvezza e nella Rivelazione la realtà fattuale storica. La finalità del racconto sacro non sarebbe la fuoriuscita dalla storia e dalla temporalità quanto un futuro della perfezione. Dice Giovanni nel suo Vangelo « Io sono la resurrezione e la vita, chi crede in me anche se muore vivrà e chiunque vive e crede in me non morirà mai » ( Gv. 23,6 ). La storia della salvezza è delineata come sempre presente, sempre realizzata a partire dalle considerazioni che, nell’ordine di un percorso concettuale e epistemico, conduce, all’interno del nostro studio, alle considerazioni sulla temporalità e sul profetismo legati alla preoccupazione della datazione delle lotte escatologiche. La esigenza della datazione costituisce un vero e proprio filone concettuale sulla domanda del cosa sia storico e cosa no all’interno della narratio. La conclusione cui giungiamo è pressappoco quella di considerare l’indatabilità del male come la garanzia della continua storicità all’interno di un percorso della salvezza tracciato sin dall’ Agostino del De Civitate Dei e bene spiegato da Enrico Castelli nel corso del Convegno di Roma su Ermeneutica ed Escatologia ( 1971 ). Il Castelli ricorda, tra i doni che Dio regala agli uomini, quale sia quello irrinunciabile, quello che costituisce la residenza della felicità e la fondazione della Grazia: la vittoria su satana. [a cura dell'autore]