La lenta evoluzione del diritto all'assistenza linguistica nei procedimenti penali tra normativa sovranazionale e sistema processuale penale italiano
Abstract
Dove esiste un processo, esiste uno scontro verbale in cui le parti affermano, negano, formulano domande ed eccezioni: tendono, cioè, a persuadere il giudice con argomenti in fatto ed in diritto. Il processo, allora ha bisogno di un mezzo di comunicazione comune a tutti i contraddittori così da rendere più agevole i rapporti tra loro e garantire al rituale uniformità, ordine e funzionalità.
Il  principale  strumento  di  comunicazione  del  processo  penale  è  la  lingua ufficiale dello Stato la cui ampia espansione all’interno della comunità nazionale fa ritenere  che  essa  sia  la  lingua  più  conosciuta  dai  protagonisti  della  vicenda giudiziaria.
Tuttavia,  non  sempre  è  così;  piuttosto  ed  in  una  percentuale  fortemente  in crescita le persone coinvolte in un procedimento penale non conoscono la lingua nazionale o non la conoscono così bene da sostenere adeguatamente l’intera dialettica processuale. In tali situazioni, la regola dell’uso della lingua nazionale provoca inevitabili difficoltà al soggetto che non comprende o non parla l’idioma usato dalla maggior parte dei consociati.
Pertanto, si è resa necessaria l’esigenza di bilanciare gli interessi nazionalistici dello  Stato  con  quelli dell’individuo. E poiché, non si può, per  evidenti ragioni operative,  aprire  le  porte  delle  aule  giudiziarie  agli  idiomi  più  disparati, l’unico rimedio idoneo a sanare lo svantaggio linguistico in cui le parti del processo potrebbero incorrere è rappresentato dalla previsione del diritto all’assistenza linguistica.
In tale direzione si muove l’indagine che ha, preliminarmente, individuato il diritto  all’interprete  nel  più  generale  quadro  delle  Convenzioni  internazionali stipulate a protezione dei diritti dell’uomo; poi, ha analizzato le soluzioni offerte dall’Unione europea per l’applicazione “effettiva” della garanzia linguistica, sfociate nell’adozione della prima “norma minima comune” per realizzare uno spazio giudiziario europeo “autentico”; infine, ha seguito l’evoluzione del diritto all’assistenza linguistica nella normativa nazionale il che ha comportato un continuo 
confronto  con  le  problematiche  connesse  ai  rapporti  funzionali  della  normativa sovranazionale con il diritto interno.
Il segnale forte e chiaro che traspare evidenzia che il diritto all’assistenza linguistica rappresenta una garanzia indispensabile per l’esercizio del diritto di difesa e connota l’equo processo. Solo con la presenza dell’intermediario linguistico non viene compromessa la partecipazione effettiva al procedimento, da intendersi non quale  mera  partecipazione  fisica,  ma  come  posizione  di  concreto  antagonismo rispetto alle tesi accusatorie. [a cura dell'autore]

