Gillo Dorfles. Arte e critica d’arte in Italia 1950-2000
Abstract
Il punto di partenza dal quale la ricerca si è mossa è stato quello di ricostruire il dibattimento tra Arte e Critica d’Arte nell’Italia del secondo Novecento. Nell’ambito di una impostazione più strettamente storica, il progetto di analisi maturato durante i tre anni di ricerca, ha posto le basi necessarie ad analizzare e rileggere alcune stagioni dell’arte e della critica, nonché le metodologie, con le quali (e attraverso le quali) Dorfles – soggetto e oggetto della tesi – ha formulato, nel secondo Novecento, il proprio discorso sull’arte e il proprio pensiero legato, via via, a prefissi estetici (a linguaggi visivi e a metodi) diversi e diversificati.
Dopo l'analisi di un dibattito dedicato alle complesse vicende artistiche dell’immediato dopoguerra – complesse per le polemiche tra realisti e astrattisti e per le problematiche sociali e politiche che si inseriscono nel dibattito artistico italiano postbellico – la ricerca si è spostata in un ambiente in cui l’Autore, da pittore impegnato a svolgere un ruolo attivo nel dibattito artistico, si fa pittore clandestino per continuare, nei territori della teoria e della critica d’arte, la sua linea di pensiero.
Un atteggiamento tipicamente dorflesiano che pare configurarsi come una sorta di poetica del divenire presente già nel 1951 (anno in cui l’Autore dà alle stampe il suo primo lavoro); quello di concepire, cioè, “opere aperte” in grado di fornire all’Autore un’ampia area d’azione critica e teorica che, lavorando sul concetto di divenire (di metamorfosi) e di transitorietà nel tempo delle arti, delle scelte e delle tecniche impiegate soprattutto (Dorfles è un autore che vede nella tecnica l’origine di ogni discorso artistico), rinnova, sulla linea hegeliana, continuamente il proprio spazio creativo. Ed è questo suo analizzare la contemporaneità, questo suo essere amante di «un pulsante presente» – critico dell’istante e teorico dei nuovi scenari artistici – a formulare, appunto, un racconto “aperto” in cui, di volta in volta, e di mutazione in mutazione, si aggiungono nuovi spazi d’azione critica e teorica in continuo divenire. Lo dimostrano, ad esempio, le Ultime tendenze nell’arte d’oggi – definito, tra l’altro, il bestseller dell’arte contemporanea –, in cui l’Autore ha deciso di riunire «prima che sia troppo tardi (e, oggi, il “troppo tardi” viene di solito anche “troppo presto”)», ha avvisato, puntualizzando la propria linea metodologica, «certe mie esperienze critiche attorno a quelle forme artistiche da me considerate come più autentiche e rappresentative, così come esse si vengono svolgendo e ramificando sotto i nostri occhi».
In Dorfles, così, proprio con concetti quali oscillazione e divenire, obsolescenza e metamorfosi, si compie una roccaforte sovrastorica in cui l’autore, liberandosi di stilemi fissi, fissa in un sistema di lettura variabile, il proprio percorso teorico e critico. Dal Discorso tecnico delle arti (del 1952) al suo ripiegamento ne Il Divenire delle arti (nel 1959) e ne Il divenire della critica (1976) – spazio nel quale va inserito anche l’importantissimo Le oscillazioni del gusto (1959) – per giungere, poi, alle Ultime tendenze nell’arte d’oggi (del 1961) che, a sua volta, si arricchisce e si amplia nel 1981 attraverso un monitoraggio e un lavoro sul campo in Ultime tendenze nell’arte d’oggi. Dall’Informale al Concettuale; e che, per non smentire il work in progress di costruzione critica (una costruzione attenta, naturalmente, ai processi di trasformazione e rinnovamento artistico), diventa, nel 1993, Ultime tendenze nell’arte d’oggi. Dall’Informale al Neo-Oggettuale, il lavoro teorico ed estetologico di Dorfles si affina e si trasforma in una ricognizione più strettamente legata alla critica d’arte ma pur sempre connessa ad alcuni principi tecnici, propri di quel Discorso tecnico del ’52, e ad un’apertura teorica che vede appunto nel panorama evoluzionistico, la base (una delle basi) del discorso dorflesiano.
Su questa stessa linea riflessiva sono stati letti, inoltre altri percorsi e discorsi affrontati dall’autore; dalle analisi dedicate all’architettura [che, partendo dal 1951 con Barocco nell’architettura moderna, via L’architettura moderna (1954), arriva fino alle Architetture ambigue dal Neobarocco al Postmoderno del 1984] a quelle indirizzate alla moda e al design, alle nuove tecnologie e alla medialità in generale [Simbolo, comunicazione e consumo (1962), Nuovi riti, nuovi miti (1965), Artificio e natura (1968)].
Un ulteriore punto di snodo, ha, inoltre, orientato le fasi della ricerca dentro uno scenario più prettamente metodologico. È stato notato, in Dorfles, attraverso varie letture – interviste, comunicazioni, lacerti critici e colloqui telefonici con l’Autore – un comportamento metodologico di tipo pluridisciplinare ed inclusivo. Che pare inserirsi, grazie a quel suo rapportarsi variabilmente rispetto ai nuovi oggetti di studio (l’Autore avvisa più volte nei suoi scritti che «l’arte non deve tradire il proprio mezzo espressivo» e che la critica deve guardare la nuova opera in base alle novità tecniche del periodi in cui essa viene prodotta), in dinamiche più strettamente legate al rapporto contaminazionale, o meglio ad un metodo multivoco, appunto, che contraddistingue, forse (è studio e analisi in preparazione naturalmente) il percorso critico dorflesiano.
Infine si è pensato di dislocare la ricerca entro ampi spazi di analisi e di impegno critico, per ritesse (ed evidenziare al meglio) il pensiero e le scelte dell’Autore in relazione con altri personaggi della critica e della teoria.
Così, se in un primo momento (chiuso tra il 1948 e il 1958) la ricerca ha attraversato la fase costitutiva e organizzativa del Movimento per l'Arte Concreta nel vasto panorama internazionale; il periodo successivo della ricerca ha attraversato alcuni luoghi che dal '58, giungono alle frontiere della postmodernità.
Un terzo periodo del lavoro, ha concentrato l’attenzione dalla fine dei grandi racconti e dunque dal dibattito sulla postmodernità, ad un ritorno alla pittura che significa non solo un ritorno, per Dorfles, alla pratica pittorica, ma anche, su scala internazionale, un ritorno al pittorico e alla cornice del linguaggio. I territori esauriti del concettuale, il minimalismo – l’antiform e le strutture primarie –, l’esperienza del Graffitismo, il ritorno del decorativo e i territori del magico, le declinazioni del postmoderno e i lineamenti del multiculturalismo, la fine dell’avanguardia e le spinte teoriche verso la post-avanguardia («il dibattito Moderno/Postmoderno»). E poi, ancora, il ritorno alla pittura, anzi, al pittorico – i Nuovi nuovi, la transavanguardia, in particolare, e le sue diramazioni internazionali –, ma anche l’esperienza della pittura analitica e dell’Astrazione povera, il manierismo e il neobarocco, il digitale e le sue varie coniugazioni attraversate dagli artisti Neo-geo (Neo Geometric Conceptualism) e dalla galleria International With Monument, la Commody-art e la Grande Decorazione, i nuovi metodi adottati dalla critica e i dibattiti sulle inadeguatezze metodologiche. L’arte, ancora, vista da una angolazione più ampia, come comunicazione, messaggio (o massaggio ha suggerito, tempestivamente, McLuhan) e come costruzione e decostruzione di linguaggio appunto. Attorno a questi fili di non facile lettura – di ampio raggio d’azione e in contraddizione tra loro, a volte – si dispiega un nuovo scenario critico- metodologico dentro il quale Dorfles propone nuove letture multidisciplinari e multiculturali (d’impostazione estetologica, socio-antropologica ma anche, via via, strutturalista, sociologica e linguistica – prendendo, tuttavia, misure di sicurezza «da improvvisi “furori disciplinari” o da mode e tendenze che desiderano imporsi, senza misurarsi sulle “cose”») tese a rivendicare, di volta in volta, l’importanza d’un processo cosciente – e coscienzioso – in grado di indicare, per l’arte e per la critica, strade alternative di comprensione e di azione. Nella parte conclusiva del lavoro è stato sviluppato, infine, il pensiero di Dorfles all’interno di alcuni eventi, che, tra la fine degli anni Ottanta del Novecento e il primo decennio del ventunesimo secolo hanno caratterizzato e caratterizzano, grossomodo, la nuova scena dell’arte, della critica d’arte e dell’estetica. Di un sistema dell’arte, infine, sfrangiato dalla megalopoli e dai flussi relazionali, dalle correnti dominanti dell’economia e dalla flessibility del lavoro, dalla commercializzazione globale e dai – sempre più massicci – flussi di un paesaggio virtuale e ibrido, carico di differenze e, nel contempo, paradossalmente omologante. [a cura dell'autore]