Il rapporto uno-molti e l'espressione della trascendenza nel libro VI del "Commentario al Parmenide di Platone" di Licio Proclo Diadoco
Abstract
Il complesso sistema teologico-metafisico elaborato da Proclo è sorretto e
governato dal duplice presupposto dell‟assoluta trascendenza causale dell‟Uno e della
necessaria relazione che Esso intrattiene con i Molti: sicché la scissione
(meta)ontologica esistente tra il Principio e l‟universo che da esso promana, con il
conseguente rapporto sinallagmatico, ovvero il nesso di reciprocità genetica e
funzionale che i molti intrattengono tra loro e mediatamente con il Principio,
rappresenta una (bi)polarità costante del pensiero procliano: all‟approfondimento di
tali tematiche è consacrata l‟intera sua opera.
Intorno a questo costitutivo nucleo tematico, ho inteso organizzare la prima
sezione del mio lavoro (capitoli I e II), attraverso un itinerario storico-concettuale
che, muovendo da Platone e snodandosi lungo quella tradizione speculativa che allo
stesso Platone espressamente si richiama e che giunge fino al tardo neoplatonismo di
Proclo, mostra le diverse configurazioni ed interpretazioni del paradigma metafisico
henologico.
L‟indagine condotta muove, in particolare, dal debito teoretico-metafisico
contratto dal neoplatonismo nei confronti della così detta Protologia platonica, o
teoria dei Principi, vale a dire di quegli insegnamenti da Platone svolti
Innerakademisch esclusivamente in forma orale. La teoria dei Principi unifica il
pluralismo delle idee in quella che, secondo le icastiche immagini contenute nei libri
centrali della Repubblica, sarà identificata con l‟“Idea del Bene”: questa risulta
dotata, per dir così, di una funzione di unità (hen) e misura (métron, akribéstaton
métron), cui si contrappone il principio opposto – parimenti imprincipiato, ma di
rango inferiore – della non-unità, ovvero della indeterminatezza e della illimitatezza,
sostrato di ogni molteplicità particolare. A partire dalla “bipolarità” originaria,
Platone deduce la multiforme (“polivoca” l‟avrebbe in seguito definita Aristotele)
totalità dell‟essere: dalla bipolarità dei Principi primi, che, stando alle diverse
testimonianze dossografiche, Platone definiva dell‟“Uno-Bene” e della “Diade
Indefinita di Grande-e-Piccolo” (aóristos dyás), deriva e dipende l‟intera struttura
della realtà.
La rimodulazione procliana della concezione protologica platonica, intesa ad
illustrare il processo emanatistico-causativo dell‟Uno e la struttura ontologica della
realtà che ne deriva, costituisce l‟oggetto d‟indagine del III capitolo della tesi: in esso
ho esaminato la fondazione monadica di ciascuna articolazione gerarchico-discensiva
della realtà determinata dalla trascendenza causale dell‟Uno, all‟interno della quale
opera quella medesima dialettica istitutiva del nesso sinallagmatico Uno-molti, che
tende alla mediazione della metábasis dalla trascendenza dell‟Uno all‟essere.
La prima stratificazione orizzontale che si realizza attraverso la generazione
discensiva dell‟Uno è costituita dalla serie delle Enadi: probabile originale creazione
del genio procliano, esse rappresentano, per un verso, gli elementi in qualche modo
partecipanti al principio impartecipato, da cui ricevono, attraverso l‟a-temporale
processo genetico che le istituisce, il carattere peculiare dell‟unità, che rende
omogenea la serie; per altro verso, le enadi rappresentano gli elementi partecipabili di
principi unitari ed unificanti, vale a dire il presupposto dell‟unità medesima per le
sostanze universali. Pertanto, mentre l‟Uno costituisce la causa impartecipabile di
tutti gli esseri, le Enadi, al contrario, costituiscono l‟insieme dei principi in virtù dei
quali ogni essere determinato possiede il carattere (ontologico) ed il predicato
(logico) dell‟unità.
Icone dell‟Uno, donde traggono la loro condizione divina e meta-ontologica
privilegiata, le enadi trascendono tutte quelle sostanze che unificano: tale
trascendimento è reso possibile dalla pre-esistenza e, al tempo stesso, dalla praesentia,
in esse, del Tutto, naturalmente sub specie unitaria e priva di relazioni con
determinazioni specifiche dell‟essere, anche se le enadi sono necessariamente a vari
livelli partecipate dagli enti e dall‟essere stesso.
Le Enadi realizzano, pertanto, una duplice mediazione: esse, infatti, da un lato
connettono la molteplicità in senso reale, configurandosi come unità di misura e di
determinazione del molteplice; dall‟altro, nel trasmettere il loro carattere di principi di
Unità, “esse collegano l‟ente anche con l‟Uno, e rendono possibile il ritorno dell‟ente
a loro stesse”. Le Enadi, dunque, rappresentano il tentativo procliano di costituzione di una
sovrasostanzialità intermedia: tuttavia, poiché esse si configurano come il metaxý tra
l‟assoluta trascendenza del Principio rispetto all‟essere e l‟essere della successiva
ipostasi, mi è parso evidente che i termini della dialettica trascendenza-immanenza
cui esse soggiacciono instaurino necessariamente una irriducibile contraddizione.
A rigore, è la stessa funzione connettiva assegnata alle Enadi da Proclo a
rivelarsi intrinsecamente contraddittoria: esse, infatti, ancorché posseggano uno
statuto meta-ontologico che le rende superiori alla prima emanazione ipostatica
dell‟on-zoé-noûs, rivestono tuttavia un reale valore ontologico nella mediazione tra il
non-essere kath’hyperochén dell‟Uno – che si esprime nella sua assoluta
impartecipabilità – e l‟essere dell‟on; le Enadi, dunque, ostentano un duplice statuto
strutturalmente contraddittorio, in ragione del quale esse rappresentano – hama, simul
– ciò che non è più il non-essere dell‟Uno, pur rimanendo superiori all‟ipostasiessere.
La consapevole, manifesta inanità dello sforzo compiuto – inteso ad istituire
un possibile addentellato incontraddittorio attraverso l‟introduzione delle Enadi –
oltre a rivelare l‟incolmabile abissalità che si dischiude e separa la trascendenza
assoluta dell‟Uno e l‟immanenza ontologica di un cosmo ipostatico incapace di
scorgere in sé le ragioni della propria genesi e sussistenza, manifesta anche
l‟impossibilità di istituire una mediazione coerente e non contraddittoria tra strutture
concettuali ed ontologiche opposte – rispettivamente la trascendenza dell‟Uno e
l‟ontologia dell‟essere – poiché gli elementi incaricati della mediazione
necessariamente appartengono all‟una o all‟altra delle due dimensioni.
L‟indagine sulle inferenze e gli sviluppi connessi all‟assoluta incoordinabilità
delle dimensioni in questione è stata da me condotta nel capitolo IV, nel quale,
giovandomi delle analisi procliane condotte nel libro VI del „Commentario al
Parmenide di Platone‟ da me tradotto, emerge la ratio giustificativa della presunta
inefficacia di ogni tentativo di connessione tra livelli assolutamente non complanari,
che a mio giudizio occorre individuare nella semplicità a-diaforica dell‟Uno: la sua
semplicità assolutamente priva di relazioni rivela, infatti, la pura unità dell‟Uno nonmediata
né mediabile financo con se stesso, giacché la stessa auto-identità si
configura pur sempre come mediazione di sé con se stesso, come movimento da sé
verso sé, ovvero come relazione di sé con se medesimo, e quindi come differenza o
ri-flessione dell‟Uno sulla differenza da sé, istitutiva di una dialettica sinallagmatica
tra relazionante e relazionato.
Assoluta trascendenza – ed assoluta poiché di rango incommensurabilmente
Elevato – nonché semplicità irrelata – ed irrelata proprio perché intrinsecamente in-
differenziata – il Principio originario e causale del Tutto non s‟identifica con alcuno
degli enti che costituiscono la totalità del reale: autentico cominciamento della totalità
degli enti, necessariamente ad essi medesimi preesiste, e da essi medesimi radicitus
se ne differenzia: di qui lo status di assoluta ulteriorità ontologica dell‟Uno, peraltro
già prodromicamente individuato da Platone...
[a cura dell'autore].