Conoscenza e struttura del reale nel commento alle categorie di Giovanni Buridano
Abstract
Il problema dell’esatta definizione della natura e del valore (ontologico o logico-linguistico)
della tavola categoriale aristotelica, fu una delle più interessanti ed importanti cause di sviluppo del
pensiero medievale. Da esso, e dal corrispondente problema relativo allo statuto ontologico degli
universali e del loro rapporto con gli individui, ebbe storicamente origine l’antitesi tra i due principali
indirizzi di pensiero di quel periodo: il realismo ed il nominalismo. Questo schema storiografico,
proprio perché più facile da riconoscere delle filosofie che lo hanno ispirato, ha finito per avere una
maggiore longevità ed un’influenza pervasiva sullo studio dell’evoluzione storica del pensiero
medievale. In tal senso, esso è giunto a trasformarsi in una premessa teorica ineludibile per affrontare
lo studio del pensiero dei diversi autori di quel periodo e tentare, in relazione ad essi, una valutazione
retroattiva e ragionata dell’efficacia o della sommarietà di questo stesso modulo storico-interpretativo
di partenza.
Entro tale prospettiva, un caso di rilevante interesse, per il rigore e la modernità degli
argomenti trattati, è quello della dottrina categoriale e delle connesse teorie semantiche e
gnoseologiche di Giovanni Buridano. Pur essendo conosciuto come una delle figure di spicco del
movimento di pensiero nominalista, infatti, Buridano seppe percorrere in maniera originale la strada
aperta dal suo illustre predecessore e punto di riferimento teorico Guglielmo di Ockham, che con la
sua critica alla metafisica e alla filosofia della natura tradizionali, contribuì in modo decisivo agli
sviluppi filosofici che, dalla morente scolastica, porteranno, in seguito, verso l’affermazione della
filosofia moderna. Come ben documentato dagli studi di William J. Courtenay ed in particolare dal suo
Ockham and Ockhamism, il nominalismo del secolo XIV non può difatti essere ridotto al semplice
ockhamismo. In particolare, Buridano, al quale una consolidata tradizione storiografica aveva
attribuito un’imprescindibile dipendenza dal pensiero del Venerabilis Inceptor, deve essere considerato
come il fautore di un diverso modo di intendere il terminismo logico il cui obiettivo principale era lo
sviluppo di una teoria del significato dei termini che permettesse di spiegare il funzionamento del
linguaggio a partire dalla riduzione del numero di entità necessarie per farlo.
In tal senso, l’opportunità di scardinare un modello interpretativo consolidato nel tempo,
come quello della totale dipendenza di Buridano dal suo maestro, è offerta dalla lettura del suo
commento alle Categorie di Aristotele, a cui questo lavoro di tesi è principalmente dedicato. Nel
tentativo di elaborare un’esegesi coerente del testo aristotelico, infatti, i due autori medievali hanno
manifestato i loro differenti approcci all’interpretazione dello statuto ontologico della realtà,
modulando in vario modo, all’interno dello stesso indirizzo di pensiero, i medesimi presupposti
ontologici e linguistici di partenza. Pertanto, lo scopo immediato del lavoro di tesi proposto sarà quello
della lettura e dell’analisi del commento alle Categorie di Buridano, cercando di coglierne
sincronicamente gli elementi di novità e distinzione rispetto alla dottrina categoriale di Ockham;
mentre invece il fine più generale di esso sarà la collocazione in senso diacronico del pensiero del
filosofo piccardo all’interno del panorama filosofico del nominalismo, rispetto al quale offrirà
l’occasione di mettere in evidenza l’interna vitalità e la conseguente irriducibilità di esso ad un
generico movimento di pensiero.
Al di là dello stretto legame con Guglielmo di Ockham - soprattutto per quanto riguarda la
costruzione di un’ontologia povera di entità -, ci sono aspetti del pensiero di Buridano, come il modo
di intendere le proprietà semantiche dei termini concettuali e le condizioni di verità degli enunciati, su
cui le loro posizioni divergono anche in maniera sensibile. I risultati conseguiti da questa ricerca oltre
a consentire di dare un senso più preciso all’affermazione della dipendenza di Buridano da Ockham
per quanto riguarda l’accettazione dei presupposti teorici a partire dai quali elaborare la teoria dei
termini categoriali mostreranno, per mezzo di concrete diversità nella scelta e nella rielaborazione di
alcuni classici strumenti semantici come le teorie della supposizione e della predicazione, che il
maestro delle arti parigino non sia stato un pensatore poco originale, quanto uno spirito critico che
aveva una collocazione precisa nell’ambito della variegata “geografia” filosofica del nominalismo
tardo-medievale. Tutto ciò, consentirà infine una valutazione critica degli aspetti più specificamente
filosofici delle sue teorie riconducibile al convincimento di natura semantica che non è possibile
rinunciare a cercare un fondamento nel reale per le divisioni e catalogazioni del linguaggio, per cui nel
mondo extra-mentale vi sono certamente sostanze individuali significate da un particolare punto di
vista che coglie un qualche aspetto o modo d’essere accidentale della loro realtà complessiva. Le
differenze tra i due maestri, sono riconducibili, come avremo modo di vedere, al convincimento di
natura semantica proprio di Buridano che non è possibile rinunciare a cercare un qualche fondamento
nel reale per le divisioni e catalogazioni del linguaggio, per cui i diversi punti di vista a partire dai
quali denotiamo le sostanze individue connotando qualcosa d’altro, colgono pur sempre un qualche
aspetto (o modo d’essere) della loro realtà complessiva, che è poi ciò che vanno a connotare.
La tesi, complessivamente strutturata in cinque capitoli, risulta idealmente divisa in due
parti: la prima, di carattere più storico, è volta a chiarire i due punti di riferimento dottrinale di
Buridano, e cioè il testo e la teoria delle categorie aristotelica e l’intepretazione che ne diede
Ockham; la seconda, invece, è dedicata ad uno specifico approfondimento della teoria semantica dei
termini e della predicazione di Buridano, vista nel suo contesto gnoseologico, e all’analisi testuale
delle Quaestiones in praedicamenta del maestro piccardo.
Nello specifico, il primo capitolo propone una breve analisi del trattato aristotelico fatta
alla luce delle acquisizioni storiografiche più recenti, ma al fine di chiarire la problematicità e la
complessità del testo, visto come aperto alla molteplicità di interpretazioni che nel corso della tarda
antichità e nel medioevo ne sono state date. Il secondo capitolo, invece, è dedicato ad una
presentazione della dottrina categoriale elaborata da Ockham, inserita nel contesto generale della
sua logica dei termini. Nel rifiutare la tendenza dei vari commentatori antichi e medievali a
sublimare i significati in referenti che, dal punto di vista categoriale, individuano le cose significate
dalle voci e non i nomi ed i concetti attraverso i quali ci riferiamo ad esse, Ockham elabora il primo
esempio di un’esegesi esclusivamente logica delle Categorie. L’idea che guida il Venerabilis
Inceptor in questa scelta interpretativa consiste, fondamentalmente, nel negare che la nostra
conoscenza delle cose debba essere garantita dal valore ontologico degli universali e delle categorie.
Per garantire il valore della nostra conoscenza è infatti sufficiente, per Ockham, riuscire a spiegare
come il linguaggio possa vertere sul reale senza per questo rispecchiarne analiticamente elementi e
strutture. Particolare attenzione è stata perciò riservata alle opere principali di Ockham su questo
argomento, come la prima e la seconda parte della Summa logicae e la Expositio in librum
Praedicamentorum.
La seconda (ideale) sezione, la più cospicua, concerne lo sviluppo della dottrina categoriale
di Buridano, incentrata in modo particolare sul ruolo della semantica dei concetti per una corretta
classificazione dei termini. Buridano, come Ockham, sostiene una forma di nominalismo nella
quale l’esigenza di considerare il linguaggio nei suoi rapporti con il pensiero e con le cose deve
essere coniugata ad una ferma presa di distanza dal realismo rigidamente corrispondentista difeso
da diversi filosofi del XIII secolo, come ad esempio Duns Scoto. Anche il maestro parigino, infatti,
parla delle categorie come di classi particolari di termini (più esattamente, per le categorie degli
accidenti, di termini connotativi), distinte le une dalle altre per la loro differente capacità semantica.
Nel suo commento alle Categorie, però, Buridano ripropone, staccandosi da Ockham, la cosiddetta
“via boeziana” ossia l’idea che i segni linguistici significhino anzitutto i concetti e solo
secondariamente le cose. Nella tesi si mostrerà pertanto come Buridano, fedele al pensiero di
Boezio, optò per questa via e derivò da questa scelta un’originale interpretazione delle Categorie di
Aristotele nell’ambito della corrente nominalista alla quale storicamente appartenne. Difatti, dalla
scelta di attenersi alla tradizione classica e di far corrispondere ai nomi i concetti (e poi le cose),
derivano due dei temi cardine su cui il maestro piccardo fonda la sua interpretazione della tavola
categoriale: 1) quello del numero dei suoi settori (sufficientia praedicamentorum); 2) e quello della
sua portata ontologica. Rispetto al primo punto, per Buridano, le categorie corrispondono al numero
di tipi di concetti comuni con i quali apprendiamo tutto ciò che può essere predicato, direttamente o
indirettamente, delle sostanze prime. Per il filosofo francese, dunque, le categorie non servono a
classificare né le cose né i nomi, ma le diverse modalità (o punti di vista) attraverso le quali
apprendiamo e poi significhiamo le realtà sostanziali. E’ solo in funzione del nostro modo di
rivolgerci intenzionalmente alle sostanze particolari, infatti, che i termini possono essere classificati
come connotativi o non connotativi, a seconda che servano a significare ciò che accade d’essere alle
sostanze o a denotare la loro costitutiva assolutezza ontologica. In questo riferimento ad aspetti
(seppure contingenti) della realtà delle sostanze individue, consiste la maggiore apertura di
Buridano (rispetto ad Ockham) nei confronti del realismo: la diversità delle categorie non dipende,
per lui, soltanto dalla diversità dei modi di concepire le sostanze particolari, poiché il nostro
processo gnoseologico coglie pur sempre una effettiva complessità di aspetti, secondari ma reali,
delle cose esistenti.
Per meglio chiarire il duplice aspetto di intellezione e significazione della realtà sostanziale
da parte delle categorie, il capitolo finale, dedicato all’esame delle Quaestiones in praedicamenta, è
stato fatto precedere da un capitolo dedicato alla semantica dei termini e da uno dedicato alla teoria
della conoscenza, nel quale vengono analizzate alcune tra le questioni principali dei vari commenti
al De anima di Buridano. Seguendo la strada già indicata da Boezio il quale riteneva che l’intentio
delle Categorie fosse quella di parlare delle voci significative in quanto tali, e quindi indirettamente
anche di ciò che i termini significano, Buridano oltre a riaffermare l’esistenza di una relazione
molto stretta tra termini (vocali o scritti) e concetti a cui essi rinviano, ha premura di mettere
l’accento sulle diverse forme di corrispondenza dei concetti alla realtà esterna (res extra). Per il
maestro del Collège de Navarre, il discorso categoriale non deve concentrarsi solo sui segni
considerati di per se stessi, ignorando la realtà che ad essi corrisponde, ma conservando al reale il
luogo di referente di ogni atto di intellezione e di significazione, mettere in evidenza la natura
semantica dei segni linguistici di cui la conoscenza si serve per render conto ed interpretare i modi
d’essere delle cose a cui essa è rivolta (e da ciò mi sembra derivi la concezione estensionale
distributiva degli universali in rapporto ai particolari).
A completare il lavoro, nelle conclusioni finali, viene data una valutazione complessiva
della dottrina categoriale di Buridano, vista nel suo rapporto di analogia e originalità con quella di
Ockham. [a cura dell'autore]