Diritto all'ambiente e forme di tutela nel diritto internazionale
Abstract
I gravi problemi generati dall’imponente sviluppo della società industriale, dalle molteplici forme di inquinamento al depauperamento delle risorse naturali, hanno da tempo posto al centro degli interessi della comunità internazionale la tutela dell’ambiente. E parallelamente la nozione relativa, che in passato aveva una connotazione prevalentemente scientifica e naturalistica, ha assunto sempre più rilevanza nel novero delle scienze sociali, in special modo nella dimensione giuridica correlata agli interventi lato sensu normativi a livello interno agli Stati e a livello internazionale, concernenti, appunto, le esigenze di tutela preventiva, conformativa e repressiva.
Questi interventi erano in origine soltanto frammentari e settoriali, relativi, cioè, alla tutela di specifici interessi o “beni”, quali il paesaggio, il suolo, l’aria e l’acqua, l’assetto del territorio.
Ma poi sono sempre più venuti assumendo, in campo internazionale, un ambito più vasto, corrispondente ad una concezione unitaria dell’ambiente, inteso come sintesi dei fattori che permettono e favoriscono la vita degli esseri viventi, che assicurano, ad un tempo, una vita salubre, il benessere umano individuale e collettivo ed uno “sviluppo sostenibile”, tale cioè da preservare l’ambiente anche rispetto alle generazioni future.
Si è preso atto, in particolare, sul piano oggettivo, della stretta correlazione tra i diversi interessi, i quali, assunti nella loro globalità, confluiscono appunto nell’unico “bene” complesso che si qualifica ambiente; e, sul piano soggettivo, del carattere collettivo degli interessi medesimi, che implicano il coinvolgimento di una pluralità di Stati e spesso hanno carattere planetario.
L’ambiente, così inteso, è un valore fondamentale della comunità internazionale, la cui tutela corrisponde ad un interesse di tutti e di ciascuno degli Stati, al pari delle altre esigenze primarie dell’intera umanità.
Solo l’azione sinergica degli esponenti della comunità internazionale può, del resto, soddisfare le aspettative di benessere e di qualità della vita connesse alla tutela dell’ambiente, la quale ha pertanto assunto le dimensioni di una funzione sociale dell’ordinamento internazionale, affidata in primis agli Stati, ma anche alle organizzazioni regionali, governative e non, e agli organi dell’O.N.U., i quali – secondo una felice definizione della migliore dottrina – operano come co-agenti della comunità globale.
La sfida della tutela ambientale universale è, inoltre, emblematica delle profonde mutazioni nella struttura dell’ordinamento internazionale , che con caratteri di sempre maggiore nettezza mostra, da un lato, una progressiva erosione dei tradizionali spazi di sovranità statale – stante, come detto, l’insufficienza di risposte unilaterali ad esigenze che richiedono oggettivamente interventi integrati – dall’altro un’importanza crescente ed incisiva dei c.d. nuovi attori del diritto internazionale, che si manifesta appieno proprio nel settore oggetto della presente analisi, in cui si assiste, altresì, alla proliferazione di organi di tipo para-giurisdizionale istituiti a presidio di specifiche regolazioni convenzionali e, talvolta, accessibili direttamente dagli individui singolarmente e/o collettivamente.
Ed è proprio il ruolo determinante per la tutela dell’ambiente svolto dai singoli e dalle associazioni ambientaliste che ha costituito un punto di vista privilegiato della ricerca, il cui principale obiettivo scientifico è quello di analizzare ed illustrare i processi normativi e giurisprudenziali che hanno condotto, a parere di chi scrive, all’emersione del diritto individuale all’ambiente salubre quale autonoma posizione giuridica soggettiva rientrante tra i diritti fondamentali alla stregua dell’ordinamento dell’Unione Europea e del sistema della CEDU. Conviene al riguardo precisare sin d’ora che detta teorizzazione è stata volutamente limitata proprio allo spazio giuridico europeo in considerazione dei più sicuri indici che in esso si rinvengono in ordine alla configurabilità di tale diritto, il cui fondamento, sotto il profilo sistematico, va ricercato in una norma generale che vincola gli Stati alla protezione dell’ambiente che – come si dirà – può verosimilmente ritenersi invalsa secondo un processo di produzione normativa di natura “organica” elaborato da Ziccardi Capaldo .
La ricerca è stata, quindi, diretta in primis ad evidenziare le indicazioni internazionali (norme, giurisprudenza, comportamenti degli Stati egemoni e delle principali organizzazioni internazionali) che valgono a fugare i dubbi di parte della dottrina in ordine all’autonoma configurabilità di una norma di diritto internazionale generale che preveda un obbligo erga omnes di proteggere l’ambiente, inteso in senso unitario e non settoriale quale patrimonio comune dell’umanità.
L’enucleazione di tale norma ha, quindi, posto le basi per interrogarsi sulla sussistenza – a livello europeo, come si è precisato – di un diritto individuale all’ambiente di matrice internazionale, funzionale proprio alla tutela del bene giuridico “ambiente” nei sensi innanzi delineati. Tale verifica è parsa di particolare attualità soprattutto alla luce dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, della piena efficacia giuridica riconosciuta alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea ed al collegamento organico da essa sancito tra gli standard di tutela dei diritti umani previsti dalla normativa dell’UE e della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali. In particolare, ci si è chiesto se la Carta di Nizza contempli, o meno, un autonomo diritto all’ambiente e se - ed in che misura - detto processo di integrazione tra diversi ordinamenti contribuisca all’emersione di un siffatto diritto. La dottrina si è, invero, da tempo ed autorevolmente dedicata a delineare i contorni del diritto all’ambiente salubre quale posizione giuridica tutelata, pur indirettamente, dalla CEDU Non risulta, invece, particolarmente approfondito il profilo attinente alla configurabilità del diritto all’ambiente nell’ordinamento dell’Unione Europea, rientrante nel novero dei diritti fondamentali tutelati dalla summenzionata Carta alla stregua di analoghi diritti di tipo programmatico, primo tra tutti il diritto alla salute, che, diversamente dal diritto all’ambiente, è positivamente sancito all’articolo 35 della Carta. Ciononostante, come si è argomentato nel testo, riteniamo che anche la tutela dell’ambiente, al pari della tutela della salute, si configuri non già come mero obiettivo da integrare nelle politiche dell’Unione, bensì anche – e soprattutto – come autonomo diritto soggettivo tutelato da adeguati mezzi di tutela di tipo preventivo e repressivo, interni ed esterni all’ordinamento dell’Unione, che confermano, altresì, la sussistenza di un sistema multilivello di “enforcement integrato” a presidio di valori condivisi della società globale.
Sul piano organizzativo, la ricerca ha preso le mosse da un excursus storico sulle origini del diritto internazionale dell’ambiente, in uno all’analisi della principale normativa e della pertinente prassi internazionale, seguito dallo studio delle fonti del medesimo settore dell’esperienza giuridica.
L’analisi ha così rivelato una crescita esponenziale, in un lasso di tempo relativamente breve, di convenzionali internazionali bilaterali e multilaterali sempre più estese ed incisive, nonché la progressiva formazione di norme munite dei requisiti propri della consuetudine. In particolare si ravvisano i caratteri di norme primarie dell’ordinamento internazionale nella previsione della responsabilità degli Stati autori di un evento lesivo dell’ambiente, in base al principio “chi inquina paga”; nell’obbligo di prevenzione – che si aggiunge a quello di riparazione – per cui gli Stati sono tenuti ad adottare comportamenti virtuosi, diretti a prevenire il danno ambientale; negli obblighi di informazione, consultazione e negoziazione cui sono tenuti gli Stati responsabili di un danno ambientale (una siffatta norma, la cui esistenza era stata già invocata in occasione dell’incidente nucleare di Chernobyl, si rinviene anche nei principi 18 e 19 della Dichiarazione di Rio de Janeiro sull’Ambiente e lo Sviluppo del giugno 1992). Analogamente, si ritiene ormai di matrice consuetudinaria “l’obbligo di proteggere e preservare l’ambiente marino” sancito dall’articolo 192 della Convenzione di Montego Bay del 1982.
Tuttavia, come si è accennato, maggiori perplessità si sono registrate in dottrina quanto alla corrispondenza al diritto internazionale generale di una norma che imponga agli Stati di proteggere l’ambiente tout court, quale equilibrio ecologico complessivo, senza limitazioni a specifici settori.
I dubbi attengono, in primis, allo stesso contenuto di un siffatto precetto, che può essere delineato, all’evidenza, solo con riferimento al bene oggetto della tutela, cioè all’ambiente inteso come equilibrio ecologico, per modo che il suo contenuto minimo va ravvisato nell’obbligo di ciascun Stato di astenersi da comportamenti positivi o negativi atti a turbare, appunto, quell’equilibrio e, per converso, nell’obbligo di compiere quanto necessario per la sua conservazione. E proprio per questo carattere di clausola generale, che solo in concreto può tradursi in comportamenti specifici, non risulta agevole individuare prassi condivise, espresse in comportamenti reiterati ed uniformi della gran parte dei componenti della comunità internazionale, che possano dar vita ad un precetto di matrice consuetudinaria, sorretto da un’idonea opinio necessitatis.
Nonostante la posizione tuttora dubitativa di parte della dottrina, riteniamo, tuttavia, oggi possibile fornire una risposta positiva circa la sussistenza della suddetta norma di protezione ambientale, in considerazione degli inequivoci segnali provenienti dalle forze prevalenti della comunità internazionale, rappresentate e/o confermate in occasione di vertici internazionali, nonché dalle indicazioni contenute nelle pronunce delle Corti internazionali e dalle sempre più stringenti e dettagliate norme di origine pattizia che, come si è detto, disciplinano praticamente ogni ambito riconducibile alla tutela ambientale.
Da tali elementi, infatti, è lecito desumere l’esistenza di un principio di tutela dell’ambiente, condiviso da gran parte degli Stati, che, pur non avendo una sicura autonoma valenza normativa secondo il tradizionale procedimento di matrice consuetudinaria, assume una connotazione ben più rilevante se apprezzato alla stregua del suddetto processo “organico” di produzione normativa, che si rivela più appropriato per consentire alla scienza giuridica di rispondere in modo puntuale alle sfide della società globale.
In particolare, attraverso una sostanziale revisione della nota tesi dei “principi costituzionali” del Quadri , secondo tale indirizzo dottrinale le volizioni e, in genere, le determinazioni generali manifestate o attuate dagli Stati egemoni si traducono in norme generali o principi giuridici internazionali, vincolanti per l’intera comunità, quando siano accettate e fatte proprie dalla gran parte del resto del corpo sociale internazionale in sedi istituzionali, oppure, più in generale, in occasione di grandi vertici e conferenze internazionali, in conformità all’attuale tendenza di organizzazione istituzionale della società internazionale. Tra questi principi generali può essere annoverato, appunto, quello che impone la tutela dell’ambiente, quale valore fondamentale dell’ordinamento giuridico internazionale, condiviso dagli Stati egemoni e dalla maggioranza degli altri in atti ed accordi internazionali (considerati nella prima parte di questo lavoro), spesso raggiunti in occasione di vertici e conferenze internazionali e, soprattutto, in sede O.N.U. La quale, com’è noto, spesso superando il ruolo istituzionale, ha agito anche come interprete degli Stati uti universi, vale a dire dell’intera comunità internazionale, ed ha assunto la tutela diretta o indiretta di interessi e valori globali , tra i quali, appunto, la tutela dell’ambiente.
La formazione di un principio fondamentale nei sensi e nei modi ora detti sembra, del resto, trovare riscontro anche in alcune statuizioni della Corte Internazionale di Giustizia. Questa, da ultimo con la recente sentenza del 13 luglio 2009 relativa ad una controversia tra Costa Rica e Nicaragua, ha, infatti, espressamente ravvisato proprio nella protezione dell’ambiente un primario interesse di tipo pubblicistico, suscettibile di limitare e condizionare il godimento di altri diritti. Nella giurisprudenza della massima autorità giurisdizionale internazionale si rinvengono, quindi, puntuali indicazioni nel senso della necessità che gli Stati assumano responsabilità sempre più penetranti per la tutela dell’ambiente, in ragione del carattere globale degli interessi coinvolti, che esige risposte ugualmente globali ai gravi problemi che questi suscitano.
Appunto in siffatta norma generale va ricercato il fondamento del diritto individuale all’ambiente.
In particolare, parallelamente al consolidamento del suddetto processo di produzione normativa, l’accresciuta sensibilità ambientale si è manifestata, soprattutto a seguito della Conferenza di Stoccolma sull’Ambiente Umano del 1972, nella progressiva inclusione della protezione dell’ambiente nelle Carte Costituzionali di numerosi Stati, quale nuovo valore fondamentale meritevole di essere sancito nelle disposizioni interne di rango primario, declinandosi in concreto nella frequente previsione di uno specifico diritto individuale a beneficiare di un ambiente salubre, ovvero in norme che demandano tale compito agli stessi Stati, tenuti per questa via ad adottare misure di dettaglio idonee a dare concretezza alle pertinenti previsioni costituzionali.
In quest’ottica l’analisi delle disposizioni costituzionali dei Paesi membri dell’Unione Europea consente di riscontrare come la tutela ambientale sia ad oggi presente in pressoché tutte le normative fondamentali degli stessi, compresa quella italiana all’articolo 117, commi 2 e 3 Cost. Tali previsioni, in uno all’inclusione della tutela ambientale nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea - che fa espresso riferimento proprio alle tradizioni costituzionali degli Stati membri - ed alla recente entrata in vigore del Trattato di Lisbona, rappresentano, come si dirà nel prosieguo del lavoro, elementi decisivi al fine di pervenire ad affermare, altresì, l’esistenza del diritto all’ambiente quale diritto fondamentale dell’ordinamento dell’Unione; e ciò, nonostante la suddetta Carta non ne contenga un’esplicita previsione.
Quanto al contenuto di tale diritto, da un punto di vista sostanziale esso è da ricercarsi, innanzitutto, nei principi fondamentali della politica ambientale dell’Unione Europea, sanciti dall’articolo 191, comma 2, del Trattato sul Funzionamento dell’UE, ovvero “sui principi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché sul principio «chi inquina paga»”. Detti principi rappresentano, infatti, le pietre angolari intorno alle quali parametrare la legittimità di atti e norme emanate sia dalle Istituzioni dell’UE, sia dai singoli Paesi membri, e che allo stesso tempo danno sostanza al complesso di disposizioni interne e sovranazionali che sempre più incisivamente consentono agli individui singolarmente o collettivamente di pretendere, attraverso mezzi di tutela preventiva e repressiva anche di tipo giudiziale, il rispetto dell’ambiente, dando luogo, in concreto, all’emersione di uno specifico diritto umano all’ambiente.
Sotto altro profilo, passando a considerare l’oggetto di un tale diritto, si è per l’appunto, constatato come la tutela dell’ambiente, sul piano strettamente giuridico, si sia storicamente sviluppata proprio muovendo dalla sua stretta interconnessione con il rispetto dei diritti umani, stante – per l’appunto – l’ormai acclarata interdipendenza tra gli obiettivi della conservazione dell’esistenza umana e della protezione ambientale. E nell’affrontare il tema del rapporto tra uomo e ambiente, sul piano giuridico si è ritenuto di privilegiare, quindi, un approccio cosiddetto right-based, in conformità all’orientamento dottrinale e giurisprudenziale volto a fare rientrare, pur con modalità differenti, la tutela dell’ambiente all’interno dell’ampia cornice dei diritti umani, avvalendosi della forza ad essi universalmente riconosciuta e della particolare incisività di taluni organi preposti a vigilarne l’osservanza.
Un ruolo determinante in tal senso è stato (ed è tuttora) svolto dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, a cui è stata dedicata, nel secondo capitolo del lavoro, un’ampia attenzione. In particolare, attraverso un’interpretazione teleologicamente orientata delle disposizioni pattizie, la Corte di Strasburgo ha fatto rientrare la difesa dell’ambiente tra le posizioni giuridiche soggettive tutelate da alcuni dei diritti fondamentali consacrati nella CEDU, sino a sancire, in una recente pronuncia, l’esistenza di uno specifico diritto umano all’ambiente salubre, contribuendo, altresì a delinearne, i contenuti sostanziali e procedurali. Tale orientamento giurisprudenziale, comporta, in particolare, il positivo effetto di aggiungere, di fatto, il diritto all’ambiente al catalogo dei diritti umani tutelati dalla CEDU, consentendo, così, agli individui che singolarmente o collettivamente si ritengano lesi da comportamenti di Stati negligenti riguardo al livello di protezione ambientale, di potersi valere dei rimedi previsti per la tutela dei diritti umani secondo il sistema di tale Convenzione.
E proseguendo per questa strada, analizzando nel dettaglio le numerose disposizioni del Trattato sull’Unione Europea e della Carta dei Diritti Fondamentali che sanciscono una stretta interrelazione tra i diritti fondamentali assicurati dall’ordinamento dell’Unione e quelli previsti nella CEDU, come interpretata alla luce della relativa giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, si perviene ugualmente ad affermare l’esistenza a livello dell’Unione Europea del diritto all’ambiente (a cui, a seconda delle soluzioni concretamente proposte, si tende ad aggiungere l’aggettivo salubre – human right to a healthy environment – ovvero florido – human right to a good environment), il quale si colloca accanto ai tradizionali diritti fondamentali, per cui ogni componente del genere umano viene investito della titolarità di un’autonoma posizione giuridica, nella quale confluiscono situazioni soggettive e poteri diversi previsti a garanzia della conservazione a lungo termine delle risorse naturali, nell’interesse delle generazioni presenti e future.
Sul piano dell’inquadramento sistematico si discute se questo diritto possa ricondursi nello schema classico dei diritti della persona ovvero sia una formula sintetica per indicare una serie di situazioni soggettive diversamente strutturate e tutelate, concernenti beni che tali non sono in senso economico (trattandosi di un insieme di res communes omnium: acqua, aria, luce, calore atmosferico, etc.).
Tenuto conto, però, che ai fini della qualificazione come diritto soggettivo non è elemento essenziale la possibilità di appropriazione del bene che ne è oggetto, essendo, invece, sufficiente l’attitudine dello stesso bene a soddisfare un interesse del titolare del diritto medesimo, non sembra esservi ostacolo a ravvisare nell’ambiente un bene giuridico immateriale di carattere collettivo, che compete – secondo lo schema dei diritti sociali – alla collettività ed ai singoli per la conservazione dell’equilibrio ecologico, cioè ad ogni essere umano in quanto componente della comunità umana globalmente considerata.
Quanto agli aspetti procedurali del diritto all’ambiente, vengono anzitutto in considerazione i principi e le norme concernenti gli strumenti di tutela preventiva, disciplinati nella consapevolezza che prevenire è meno gravoso del risarcire le conseguenze delle attività rischiose. In particolare, assumono grande rilievo – in quanto costituiscono il presupposto di qualunque efficace azione di tutela (per la quale è indispensabile una corretta definizione degli interessi coinvolti) – l’informazione ambientale e la partecipazione ai processi decisionali delle determinazioni degli Stati che incidono sull’ambiente.
Al riguardo, un ruolo di primaria importanza è svolto dalle disposizioni della Convenzione U.N.E.C.E. (United Nations Economic Commission for Europe) sull’accesso alle informazioni, la pubblica partecipazione e l’accesso alla giustizia in materia ambientale (Convenzione di Aarhus, del 25 giugno 1998), che non definisce il contenuto del diritto individuale ad un ambiente salubre, ma, disciplinando aspetti fondamentali della tutela dell’ambiente, ha decisamente contribuito alla concreta configurazione di un siffatto diritto nel continente europeo (in conformità del resto, alla dichiarata finalità della convenzione, stipulata “per contribuire a tutelare il diritto di ogni persona, nelle generazioni presenti e future, a vivere in un ambiente atto ad assicurare la sua salute e il suo benessere”).
Ed allo studio dei primi due “pilastri” della Convenzione di Aarhus (accesso alle informazioni e pubblica partecipazione ai procedimenti ambientali) è, per l’appunto, dedicato il terzo capitolo del lavoro, ove si sottolinea, altresì, come i doveri di informazione e partecipazione ai processi decisionali, svincolati dal riferimento alla materia ambientale, si configurano anche come norme aventi natura consuetudinaria.
In particolare, il diritto all’informazione ambientale, quale articolazione del diritto all’ambiente, spetta, nei confronti delle autorità statali, alle organizzazioni ambientaliste (associazione, comitati di tutela di interessi diffusi, etc.) ed ai singoli cives, che sono legittimati a valersi dei rimedi previsti per il caso di mancata osservanza. In questi sensi dispongono, per l’appunto, la già ricordata Convenzione di Aarhus ed altresì le disposizioni della Direttiva 2003/4/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (attuativa del primo pilastro della Convezione di Aarhus), nonché del Regolamento CEE del Consiglio 7 maggio 1990, n. 1210/90, che ha istituito l’Agenzia Europea dell’Ambiente.
D’altra parte, il diritto di partecipazione del pubblico ai processi decisionali viene garantito, in primo luogo, attraverso la pubblicità delle iniziative e dei progetti in materia ambientale; e, in secondo luogo, dai procedimenti istruttori, consultazioni, indagini conoscitive anche in contraddittorio dei soggetti interessati, etc.
Il quarto capitolo della tesi si occupa, invece, del c.d. “terzo pilastro” della citata Convenzione di Aarhus, dedicandosi un’attenzione particolare all’accesso alla giustizia in materia ambientale nell’Unione Europea. Al riguardo, riveste rilievo qualificante della ricerca lo studio del sistema di tutela giudiziale dell’Unione, che appare ancora insufficiente ad assicurare integrale protezione al diritto all’ambiente, stante la persistenza di rilevanti ostacoli ad un efficace ed effettivo accesso alla giustizia dell’Unione da parte dei singoli soggetti, che, di fatto, impedisce un pieno controllo della legittimità degli atti comunitari. E ciò sebbene l’Unione Europea abbia autonomamente ratificato la Convenzione di Aarhus, impegnandosi a migliorare il proprio sistema di garanzie giurisdizionali quale strumento necessario ad assicurare il rispetto del diritto comunitario dell’ambiente e, più in generale, a tutelare il diritto umano ad un ambiente salubre, obiettivo finale della Convenzione di Aarhus, fatto proprio dall’Unione ed espressamente incluso tra gli obiettivi dalla politica comunitaria in materia ambientale.
Si è, inoltre, sottolineata l’importanza dell’attività di compliance, consistente nel ricorso a meccanismi di controllo flessibili e dal carattere non adversarial, che si sta rivelando, appunto, un valido strumento per favorire, anche attraverso misure di tipo premiale e di ausilio tecnico, l’osservanza dei più importanti trattati di diritto internazionale dell’ambiente, soprattutto da parte dei Paesi meno dotati da un punto di vista tecnologico e finanziario. Imporre a Stati che versano in situazioni di particolare difficoltà pesanti sanzioni economiche a titolo di responsabilità per un inadempimento convenzionale potrebbe, infatti, rivelarsi addirittura controproducente rispetto agli obiettivi prefissati, oltre che socialmente insostenibile. D’altra parte, la moltiplicazione dei trattati bilaterali e multilaterali in materia di ambiente, unita al loro notevole tecnicismo ed all’assenza di un sistema strutturato obbligatorio di accertamento giudiziale (sul modello del sistema introdotto dal W.T.O.), rende estremamente utile, se non indispensabile, il contributo degli organi “quasi-giurisdizionali” all’attuazione ed al rispetto degli accordi internazionali in materia ambientale. In linea con le indicazioni di autorevole dottrina si condivide, quindi, l’auspicio che si proceda ad un loro compiuta istituzionalizzazione che – pur lasciandone impregiudicati i tratti sostanziali – ne assicuri l’indipendenza e l’imparzialità, rafforzandoli in termini di capacità operativa ed efficienza. Al qual proposito va detto che anche riguardo ai meccanismi di compliance, in ragione della particolare natura pubblicistica e al tempo stesso privatistica degli interessi correlati alla tutela dell’ambiente, appare determinante il contributo dei singoli e degli enti associativi istituzionalmente dediti alla tutela dell’ambiente, titolari di un distinto potere di iniziativa di compliance. In questo senso, di particolare interesse è, infine, risultato lo studio dell’attività del Compliance Committee della Convenzione di Aarhus, quale pioneristico esempio di struttura preposta al controllo dell’attuazione degli obblighi convenzionali, informato ai più avanzati criteri di democrazia partecipativa, nonché ai canoni dell’indipendenza, dell’ampia accessibilità e della trasparenza operativa.