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dc.contributor.advisor
dc.contributor.authorBabino, Caterina
dc.date.accessioned2014-05-23T07:40:15Z
dc.date.available2014-05-23T07:40:15Z
dc.date.issued2013-09-11
dc.identifier.urihttp://hdl.handle.net/10556/1316
dc.identifier.urihttp://dx.doi.org/10.14273/unisa-194
dc.description2010 - 2011en_US
dc.description.abstractQuesta tesi di dottorato nasce dalla consapevolezza di quanto sia stato notevole l’interesse che nel VII secolo hanno rivestito nel pensiero filosofico e teologico le Epitomae e le Epistolae di Virgilio Marone Grammatico. Molti illustri studiosi hanno ritenuto che le sue opere e le sue teorie abbiano rappresentato, di fatto, la base della futura speculazione teologica medievale. Le Epitomae e le Epistolae sono tra i più sconcertanti testi medievali sopravvissuti, in quanto si presentano sotto forma di trasmissione di precetti grammaticali ma rispettano solo in apparenza i canoni del tempo, perché densi di regole alterate, di passi dove viene analizzata la crittografia poetico-filosofica della scinderatio fonorum, dove sono utilizzate parole inesistenti ed esposte numerose etimologie, sul modello enciclopedico di Isidoro di Siviglia. Opere, dunque, intessute di teorie, spesso al limite dell’ortodossia, sulla contraddizione tra sapere filosofico e tradizione religiosa, sulla creazione e sull’anima o sulla necessità di utilizzare il sermo obscurus o sull’esistenza del linguaggio artificiale delle dodici latinità, il tutto avallato da autorità fasulle e citazioni non attestate. Fin dalla prima lettura, è evidente la posizione di Virgilio Marone Grammatico che, ha dato forte rilevanza alla trasmissione del messaggio filosofico, addirittura tralasciando o toccando solo marginalmente quello teologico, anche se tutte le dottrine vengono sempre chiaramente espresse rispettando una corretta esegesi biblica ma senza nessun approfondimento, senza mai prescindere dall’osservanza delle regole delle scienze della natura, in quanto le discipline naturali non possono non subordinare l’esito delle loro indagini a un confronto finale con la fides, ultima regula della loro veridicità. Virgilio Marone Grammatico va dunque considerato un riferimento per testare e comprendere le nuove prospettive sulla vita intellettuale del primo Medio Evo e sulla decodificazione della letteratura medievale in generale. Le sue opere esercitarono la loro influenza su una generazione dopo l’altra, fatto che fa di questi un chiaro testimone della continuità degli studi e dell’amore per la ricerca sapienziale tra l’età Tardo Antica e il formarsi della civiltà dell’Alto Medioevo. È stata dunque avvertita l’esigenza di analizzare a fondo e nella sua interezza le uniche due opere conservate nei codici e che Virgilio Marone Grammatico produsse per i suoi confratelli e allievi, al fine di dare loro gli strumenti adatti per poter effettuare una corretta esegesi biblica, attuando così un’operazione che anticipò di oltre un secolo quella che fu compiutamente realizzata da Alcuino. L’analisi svolta in questa tesi ha richiesto un’approfondita analisi linguistica di ogni singola epitome ed epistola, operando successivamente una serie di comparazioni con le grammatiche precedenti, coeve e successive, allo scopo di registrare e valutare le similitudini e le differenze per comprendere da chi, veramente, egli abbia attinto le sue nozioni e quale fortuna abbiano poi avuto le sue opere. Sono stati riscontrati vari usi diretti operati da grammatici quali Donato Ortigrafo e Smaragdo che ne riportano interi brani, o autori come Abbone di Fleury che nell’XI secolo tratta di un certo Virgilio di Tolosa, autore di una grammatica. Per quanto riguarda la sua vita, le origini, gli studi e l’ambiente in cui avrebbe operato si è nel campo delle ipotesi, infatti le pochissime notizie in merito alla sua vita sono fornite solo dallo stesso Virgilio Marone Grammatico e disseminate nelle sue opere e trovano riscontro nei manoscritti. Mostra di aver vissuto intorno alla metà del VII secolo, probabilmente in Irlanda, o in Spagna. La sua identità rimane non meno oscura e lo stesso nome poggia su motivazioni non usuali, quello che sembra essere un dato accettato da tutti gli studiosi è che fosse uno pseudonimo, infatti Virgilio Marone Grammatico afferma di chiamarsi Virgilio come i suoi maestri, a cominciare da Virgilio di Troia, per poi dichiarare di essere alunno di Donato e Virgilio d’Asia, l’inventore delle dodici diverse lingue latine, mentre il nome Maro gli sarebbe stato attribuito dal suo maestro, Enea, che lo avrebbe a sua volta ricavato dagli scritti di un grammatico Vulcano, che avrebbe trattato di un personaggio dottissimo, esistente all’epoca del diluvio universale. Gli studiosi gli hanno attribuito origini spagnole, galliche, irlandesi e addirittura ebraiche, ma niente è stato accertato. La sua opera è collocabile intorno alla metà del VII secolo in quanto posteriore ad Isidoro di Siviglia, del quale dimostra di conoscere alcune parti delle Etymologiae, datate intorno al 636, ed anteriore al 709 in quanto Aldelmo di Malmesbury lo cita. Una parte corposa del lavoro è stata dedicata ad evidenziare e commentare la caratteristica peculiare del messaggio che questi vuole trasmettere ai suoi confratelli, cioè l’esistenza di una pluralità di vie per giungere alla verità e sottolineare la potenza dei simboli per raggiungere la sapientia con tutti i mezzi, dall’esegesi biblica alle dottrine filosofiche, con l’ausilio delle arti liberali, fatto che a quel tempo significava sfidare il potere dominante, cioè la Chiesa. Non a caso, secondo una suggestiva immagine usata da Virgilio Marone Grammatico, gli intellettuali cristiani dovevano allineare il sapere in due distinte biblioteche, rispettivamente costituite dai testi dei maestri di scienza e filosofia antiche e da quelli dei Padri della Chiesa, per avere a disposizione una completa documentazione per lo studio della verità. Quanto detto giustifica ampiamente la volontà, anzi la necessità, di Virgilio Marone Grammatico, di celare la propria identità. Dunque le sue opere risultano essere solo ad una prima lettura una coppia di grammatiche modellate, così come molte altre, sulla celebre coppia di Donato, l’Ars maior e l’Ars minor. Ciò che è giunto sono 12 epitomi, delle 15 composte e 8 epistole, più la prefazione, dove le caratteristiche strutturali della grammatica latina tardo antica sono presenti fino all’ultimo dettaglio: definizioni, liste di proprietà, sotto proprietà ed eccezioni, discussioni sulle forme anomale, esempi tratti da autorità classiche e da altri. Contestualmente a queste strutture familiari e ben definite, ci sono tutta una sorta di infrazioni delle convenzioni della grammatica antica, infatti, affronta i problemi tradizionali, la declinazione del pronome, la formazione dell’avverbio, i verbi difettivi, la comparazione dei participi e così via, ma poi insegna le forme grammaticali e le costruzioni non conosciute da nessun altro scrittore antico o medievale e la sua dottrina spesso si discosta fortemente dalle forme usuali. Virgilio Marone Grammatico dà voce a personaggi che si impegnano in battaglie verbali, profetizzano, scrivono inni, raccontano indovinelli e si impegnano in una serie di dispute, enigmi ed allegorie che difficilmente hanno trovato posto in grammatiche antiche o moderne. Non a caso nello svolgimento delle sue opere egli fa appello ad ogni sorta di autorità quali Catone, Cicerone, Lucano, Omero, Orazio, Properzio, Quintiliano, Varrone che però sono riferimenti problematici, in quanto gli scritti con i quali essi sono accreditati non sono attestati e le forme ascritte loro non sono plausibili. Solo in pochi casi Virgilio Marone Grammatico può mostrare di riferirsi direttamente all’opera di uno scrittore attestato. Oppure cita personaggi dei quali non si è trovata traccia quali i tre Virgili e i tre Vulcano, Enea, Origene, Sufonia, Sagillio, Blasto, la Sibilla cartaginese, Balapsido, Galbungo ed altri cui attribuisce studi e dissertazioni in merito a temi di grande importanza quali la Creazione; oppure sono storici mancati e i loro enunciati riecheggiano i giri di parole di Sallustio e di Tito Livio. O ancora presenta un certo Donato di Troia, reputato essere vissuto circa mille anni, a capo di un catalogo di dodici, altrimenti sconosciuti, grammatici, mentre altri, come Virgilio d’Asia, viene presentato come un professionista della scinderatio fonorum. Altrettanto immaginari sono i luoghi, dall’India all’estremo Occidente, e i tempi in un sistema fantastico che inutilmente si è cercato di decodificare. Dall’analisi complessiva si evince la forte atipicità delle opere maroniane rispetto alle altre grammatiche medievali, infatti la gran parte delle dottrine insegnate in particolare nelle Epitomae I, IV e XV, e nelle Epistolae Praefatione, III e VIII, così come in passaggi sparsi altrove, risultano essere totalmente estranee alla grammatica, quali la storia, la sapienza, la cosmologia, l’avarizia, la natura dell’uomo, la teoria dell’anima; tanto da far pensare che i precetti grammaticali non siano altro che un espediente per trasmettere le dottrine filosofiche-teologiche ai suoi confratelli. L’ultima parte di questa tesi è stata dedicata ad accennare brevemente alcune delle interpretazioni più diverse fatte dagli studiosi che, dall’Ottocento in poi, a vario titolo, si sono occupati delle sue opere. Alcuni lo hanno ritenuto un povero pazzo, altri un raffinato cultore dell’ironia, altri lo hanno considerato un vergognoso esempio di degenerazione culturale della sua età, ma per alcuni è stato un eccellente letterato, un genio, un uomo di grande cultura, che si rivolse ad una ristretta cerchia di lettori colti come lui, disposto ad irridere e a demitizzare tutte le certezze della mentalità medievale. Tutto ciò che sembra fare di questi testi un unicum è la specialissima dottrina grammaticale esposta come una trattazione quasi ascetica, almeno negli obblighi che si ritiene di dover imporre ai grammatici, ma in questo contesto di estrema serietà è ancora più evidente la atipicità di questo autore, dove tutto suscita dubbio, nomi degli scrittori, titoli delle opere, loro ampiezza, affermazioni in esse contenute, biografie dei grammatici, e tutto suscita il dubbio sulla sua veridicità e di conseguenza anche sul significato delle epistole e delle epitomi. Ciò che è certo è che in Virgilio Marone Grammatico il Tolosano nulla è scontato. Nel complesso l’elemento che emerge su tutti gli altri è che Virgilio Marone Grammatico fu uomo del suo tempo, che perfettamente incarnò le difficoltà e le contraddizioni di quei secoli, considerati bui, ma di fatto di passaggio, un passaggio epocale, che vide necessario il reinventarsi tutto, dalla politica alla religione ed il linguaggio ne fu l’elemento base, il principale veicolo di comunicazione che permise alla saggezza di un tempo di giungere ai nuovi uomini orfani di tutto. [a cura dell'autore]en_US
dc.language.isoiten_US
dc.publisherUniversita degli studi di Salernoen_US
dc.subjectVirgilio Marone Grammaticoen_US
dc.subjectSapientiaen_US
dc.subjectScinderatio fonorumen_US
dc.titleLe Epitomae e le Epistolae di Virgilio Marone Grammaticoen_US
dc.typeDoctoral Thesisen_US
dc.subject.miurM-FIL/08 STORIA DELLA FILOSOFIA MEDIEVALEen_US
dc.contributor.coordinatoreD'Onofrio, Giulioen_US
dc.description.cicloX n.s.en_US
dc.contributor.tutorD'Onofrio, Giulioen_US
dc.contributor.tutorGrondeux, Anneen_US
dc.contributor.cotutorOldoni, Massimoen_US
dc.identifier.DipartimentoScienze del Patrimonio Culturaleen_US
dc.embargo.terms
dc.description.embargo
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