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dc.contributor.authorQuatrano, Fabiana
dc.date.accessioned2014-05-27T10:07:49Z
dc.date.available2014-05-27T10:07:49Z
dc.date.issued2013-04-18
dc.identifier.urihttp://hdl.handle.net/10556/1331
dc.identifier.urihttp://dx.doi.org/10.14273/unisa-209
dc.description2011 - 2012en_US
dc.description.abstractIl mio lavoro di ricerca si presenta come luogo di riflessione su di un aspetto sociale, così diffuso, qual è l’aggressività interpersonale. Rispetto a tale problematica, ho cercato, partendo da un’ analisi teorica, di privilegiare l’aspetto di una progettualità educativa, elaborando possibili azioni e atteggiamenti, tesi a ridurre le espressioni dirette o indirette dell’aggressività. In una società che presenta un contesto etico valoriale poco forte e che diventa giorno dopo giorno sempre più multietnica e multiculturale, sorgono facilmente incomprensioni, pregiudizi e intolleranze. Le diversità socio-culturali sfociano, sempre più spesso, in manifestazioni di aggressività, anche in persone che, a prima vista, possono apparire pacifiche e ben educate. Diventiamo sempre più intolleranti, cioè incapaci individualmente e collettivamente, a vivere pacificamente con coloro che credono ed agiscono in maniera diversa dalla nostra. Per far fronte a questo preoccupante fenomeno, che investe ogni categoria sociale, sono necessari diversi ed articolati interventi socio-culturali per educare alla tolleranza, alla pace , alla socialità, alla legalità: valori strettamente collegati e non dissociabili l’uno dall’altro. Proprio per questo, negli ultimi anni si pone particolare attenzione a ciò che viene definito educazione, soffermandoci in modo particolare sul concetto di «emergenza educativa» che viene posto al centro del dibattito pedagogico contemporaneo e di come l'educazione delle giovani generazioni sia diventato un problema sempre più delicato e difficile da affrontare. Quello che stiamo vivendo è un momento particolare della storia e, come in ogni periodo di transizione, l'uomo si trova di fronte a situazioni e problemi che non è in grado di gestire completamente; i cambiamenti non solo sono tanti e di ampio rilievo, ma si susseguono anche a un ritmo frenetico, accavallandosi spesso gli uni agli altri. Bisogna soprattutto educare a vivere nel cambiamento: i vorticosi cambiamenti interpellano, provocano, sfidano la nostra capacità di sapere, di fare, di essere, di saper vivere insieme con gli altri. In queste situazioni, la vita è un processo costante per acquisire il necessario per il proprio sviluppo globale, un viaggio di continua scoperta di senso e di valori, un'esperienza della diversità e della capacità di armonizzazione, consapevoli della propria identità e pronti a scoprire e a vivere nuovi percorsi di identificazione. La sfida più difficile oggi è riuscire ad attivare e realizzare l’educazione nella complessità e alla complessità, che non si riduca a un adattamento, ma che sia capace di interiorizzare la varietà, e diventi capace di confrontarsi con il cambiamento in modo critico e creativo. Occorre riportare l'educazione al centro della riflessione e dell'agire quotidiano nella convinzione che proprio nell'educazione si trova la chiave capace di ridefinire in positivo il futuro della nostra società. L’educazione come evento passa sempre attraverso relazioni La relazione si pone come luogo di cura e “aver cura della relazione, educare ad averne cura può porsi come compito progettuale della pedagogia. Il termine relazione è quello che meglio esprime quelle condizioni necessarie perché un rapporto tra due persone sia definito educativo Relazione è, quindi, un termine che ha conosciuto, conosce e conoscerà sempre una legittimazione più che giustificata, infatti è difficile concepire un pensare, un fare, un dire, un insegnare, un educare o un curare prescindendo dalla categoria di relazione. La relazione non è solo un fatto cognitivo, intellettualistico, ma è sempre anche un fatto emozionale: la capacità di pensare dipende dal sentire e dal capire quello che ci accade dentro: noi possiamo pensare solo se siamo in contatto con le nostre emozioni ed è solo lo sviluppo dell’affettività e dell’emotività, la capacità di contenerle ed elaborarle che ci permette di pensare e di apprendere Le emozioni , grazie all’apporto di numerosi studi e ricerche, sono state riconosciute come la trama fondativa e unitaria del sé sulla quale si costruisce l’identità della persona, determinando le scelte e il pensiero ed influendo sull’apprendimento. Tra i processi emotivi e l’apprendimento esiste una profonda connessione, poiché esso si sviluppa sempre all’interno di una relazione affettiva. Il fattore emozione costituisce, pertanto, l’elemento centrale intorno al quale è possibile organizzare e sviluppare una tipologia di competenze educative comprendenti la conoscenza di sé, la comunicazione e l’ascolto, le capacità relazionali e le abilità di aiuto, le strategie di gestione del disagio e delle conflittualità che si verificano in ogni ambito sociale. I numerosi progetti di alfabetizzazione emozionale che da alcuni anni si stanno realizzando nelle scuole con l’intento di coltivare l’equilibrio emotivo e di costituire una vaccinazione psicologica contro il disagio, trovano riscontro nelle concezioni di Daniel Goleman che ha formulato una nuova teoria della mente emozionale, definendo come il repertorio comportamentale dell'uomo sia in buona parte determinato dalle emozioni. L'emozione, dunque, non è soltanto valutazione e adattamento ad una situazione o a un contesto, non è più una semplice reazione all'avvenimento, o tendenza all'azione, è anche e soprattutto un processo relazionale che consente ai protagonisti di trasferire, di rimettersi in questione, offrendo loro la possibilità di ri-negoziare un nuovo rapporto con l'altro, con il mondo e con sé stesso. Il tema dell’aggressività e del comportamento aggressivo è stato analizzato prendendo in considerazione gli studi più significativi a vari livelli: neurofisiologico, etologico, psicologicosperimentale, psicoanalitico. Nella società odierna, qual è quella del terzo millennio, si assiste ad una recrudescenza della violenza gratuita, dove per un nonnulla scatta l'aggressività. Attribuire un preciso significato alla parola aggressività risulta molto complesso. Molti Autori sulla base delle ipotesi e delle ricerche fino ad ora formulate, nel definire il concetto di aggressività, hanno cercato di cogliere le diverse facce che questo fenomeno può assumere nella persona umana. L’aspetto più vivo e stimolante del loro modello interpretativo, come si evince dall'analisi condotta, è nella concezione bipolare dell’aggressività, che vede in essa manifestazioni sia di tipo espansivo, sia di tipo difensivo, considerate come momenti fondamentali del processo di adattamento dell’individuo. Agganciandoci alle più recenti ricerche etologiche, molti autori mettono in luce la funzione dei legami associativi nella canalizzazione e nell’inibizione dell’aggressività e l’importanza dell’identificazione con l’altro, della partecipazione e della condivisione di un sistema di valori. Numerose sono le teorie elaborate sull’aggressività, teorie che si riflettono a livello educativo nell’elaborazione di possibili percorsi educativi tesi a gestire i comportamenti aggressivi. Ogni percorso educativo di tale genere deve tendere ad educare al rispetto della persona umana ed al senso di responsabilità. Tra gli interventi educativi possibili per far fronte soprattutto all’aggressività infantile vengono proposti l’utilizzo della fiaba e del gioco simbolico. Le fiabe parlano ai bambini in un linguaggio simbolico, è per questo che riescono ad attrarne l’attenzione e a favorire l’immedesimazione, riducendo i conflitti interiori del bambino, placando l’angoscia e offrendo soluzioni. Nelle fiabe non è importante tanto il contenuto manifesto, esplicito, quanto il significato simbolico comune in qualsiasi società ed epoca. Queste storie si occupano di problemi umani universali, soprattutto di quelli che preoccupano la mente del bambino, e quindi parlano al suo Io e ne incoraggiano lo sviluppo, calmando nel frattempo pressioni preconsce e inconsce. Sono uno strumento educativo prezioso, rappresentano un punto di riferimento per la vita interiore del bambino e la vita relazionale dello stesso con l’adulto. Il bambino ha bisogno di un’educazione morale che velatamente, e soltanto per induzione, gli indichi i vantaggi del comportamento morale, non mediante concetti etici astratti, ma tramite quanto gli appare tangibilmente giusto e quindi di significato riconoscibile. Per quanto concerne il gioco simbolico e la sua funzione nel controllare l’aggressività va sottolineato come esso occupi un ruolo particolare, perché costituisce la modalità espressiva più libera di cui il bambino dispone. Il gioco simbolico consente al bambino di realizzare la propria soggettività e di svolgere quella funzione che nell’adulto è svolta dal linguaggio interiore e dalla riflessione sugli eventi; aiuta a trasformare una parte dell’impulso distruttivo in energia positiva e a realizzare così le proprie potenzialità creative innate e le caratteristiche individuali di ciascuno. Vengono, infine, presentate alcune strategie didattiche per gestire positivamente le emozioni. I programmi di alfabetizzazione emozionale, o di efficacia nelle relazioni interpersonali, hanno un obiettivo principale quello di consentire un'adeguata gestione dei sentimenti e lo sviluppo di specifiche capacità, in modo tale che i processi cognitivi e di apprendimento, sia individuali che di gruppo, si realizzino naturalmente e senza interferenze con maggiore successo. Per costruire uno stato di salute emotiva e di benessere, i programmi devono presentare alcune caratteristiche essenziali: aiutare i bambini a calmarsi quando provano rabbia, gelosia o eccitazione; aumentare la consapevolezza degli stati emotivi degli altri; risolvere le difficoltà interpersonali discutendo delle proprie sensazioni; consentire di pianificare e prevedere al fine di evitare situazioni difficili; considerare quali conseguenze produce il proprio comportamento sugli altri. Insegnare l'alfabeto delle emozioni è un processo simile a quello in cui si impara a leggere, poiché comporta la promozione delle capacità di leggere e comprendere le proprie ed altrui emozioni e l'utilizzo di tali abilità per comprendere meglio se stessi e egli altri. Nelle ricerche finora svolte, i bambini allenati emotivamente mostrano maggiori capacità di saper controllare e regolare il proprio stato emozionale, riescono meglio a calmarsi quando sono agitati, a rallentare i battiti del cuore più in fretta rendendosi meno esposti alle malattie infettive; si concentrano maggiormente e sono più attenti; si relazionano meglio con gli altri anche nelle situazioni socialmente difficili, tipiche dell’infanzia; riescono a comprendere di più le altre persone e stabiliscono rapporti di amicizia più solidi con i coetanei; presentano un buon rendimento scolastico e sviluppano un’intelligenza emotiva. Se cercheremo di aumentare l'autoconsapevolezza, di controllare più efficacemente i nostri sentimenti negativi, di conservare il nostro ottimismo, di essere perseveranti nonostante le frustrazioni, di aumentare la nostra capacità di essere empatici e di curarci degli altri, di cooperare e di stabilire legami sociali - in altre parole, se presteremo attenzione in modo più sistematico all'intelligenza emotiva -potremo sperare in un futuro più sereno. [a cura dell'autore]en_US
dc.language.isoiten_US
dc.publisherUniversita degli studi di Salernoen_US
dc.subjectAggressivitàen_US
dc.subjectRelazioneen_US
dc.subjectProgettualitàen_US
dc.titleL'aggressività interpersonale: dalla ricerca alla progettualità educativaen_US
dc.typeDoctoral Thesisen_US
dc.subject.miurM-PED/01 PEDAGOGIA GENERALE E SOCIALEen_US
dc.contributor.coordinatoreMinichiello, Giulianoen_US
dc.description.cicloXI n.s.en_US
dc.contributor.tutorClarizia, Lauraen_US
dc.identifier.DipartimentoScienze Umane, Filosofiche e della Formazioneen_US
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