Dalla cessione di cubatura alla circolazione dei diritti edificatori
Abstract
L’art. 5, 3° co., D.L. 13 maggio 2011, n. 70, (cd. Decreto Sviluppo), convertito
con Legge 12 luglio 2011, n. 106, introducendo all’art. 2643, 1° co., c.c. il n. 2
bis, ha accolto nell’impianto codicistico la figura dei diritti edificatori, dando
seguito e considerazione alla prassi della cessione di cubatura ormai invalsa
nelle dinamiche contrattuali private.
L’ambiziosa novella, tuttavia, pur nella apprezzabilità dell’intento enunciativo,
si concentra nel garantire l’emersione pubblicitaria alla relativa circolazione,
spalancando le porte alla maggiore incertezza possibile in ordine alla
ricostruzione della natura giuridica e prestando il fianco alle critiche di
incompletezza e di scelleratezza della tecnica legislativa.
Occorre denunciare sul punto un metodo non troppo condivisibile adottato in
sede di legiferazione che, sul presupposto di legittimare determinate posizioni,
opta per l'accoglimento della relativa trascrivibilità, piuttosto che declinarne una
compiuta identificazione e disciplina, come è peraltro accaduto per l’art. 2645
ter c.c., il quale, comunque, a differenza del caso in esame, pone un accenno di
regolamentazione.
L'indagine condotta si pone, pertanto, l'obiettivo di inquadrare la fattispecie di
recente introduzione e gli strumenti idonei a trasferirne la titolarità, calandola in
un rapporto di confronto con la più antica cubatura e misurandosi col difficile
compito di conciliare gli obiettivi pratici con la costruzione teorica.
Certo, deve considerarsi che la complessità del dato normativo da cui si parte e,
soprattutto, le interferenze tra gli eterogenei ambiti disciplinari coinvolti, quali
quello urbanistico e quello civilistico, conducono il civilista, che non intenda
abdicare al sistema di fronte a simili interventi, a orientare il suo sguardo critico
su molteplici piani. Si tratta, infatti, di analizzare le proposte ricostruttive
avanzate dagli interpreti prima e dopo la citata novella normativa, muovendo
dalle prime, dedicate al fenomeno della cessione di cubatura, per giungere alle
più recenti concentrate sul nuovo ambito tematico della pianificazione
perequativa, compensativa e incentivante, nell’ottica di rintracciarne
un’adeguata collocazione nel quadro delle categorie ordinanti del diritto civile.
Non può tacersi, tuttavia, la peculiare difficoltà che incontra la sussunzione di
ipotesi normative assolutamente inedite nei modelli noti, malgrado, a parere di
chi scrive, alla collocazione e al tenore letterale della nuova norma vada
attribuito un valore dirimente e proficuamente orientativo.
Sulla base degli esiti di tale analisi, si rende necessaria un’operazione di sintesi
con gli indici da ultimo assunti in forza della recente riformulazione dell’art.
2643 c.c., indicando, altresì, l’eventuale rapporto di continuità instaurato tra la
figura della cubatura nell’inquadramento tradizionale e la nuova fattispecie.
In proposito, occorre accennare alle varie ricostruzioni in ordine alla natura
giuridica del negozio di cessione della cubatura, alcune ispirate ad una
concezione in terminidi diritto reale limitato e, di conseguenza, decise
nell’affermare il valore di contratto ad effetti reali della relativa cessione; altre,
invece, indifferenti rispetto al ruolo di tale programma negoziale e, certamente,
convinte della sua secondarietà rispetto al momento “amministrativistico” della
fattispecie.
Il rilievo dell’interesse pubblico al rispetto delle regole di programmazione
urbanistica e ad una corretta, armonica ed omogenea espansione edilizia nel
territorio interessato ha, infatti, indotto parte minoritaria della dottrina e della
giurisprudenza a sminuire il ruolo giocato dall’autonomia privata nell’ambito
della cessione di volumetria, tanto da qualificare in termini di assoluta
superfluità qualsiasi accordo concluso dalle parti, non solo per quanto agli
effetti inter partes, ma addirittura anche nei confronti della pubblica
amministrazione. In tali termini, il momento essenziale e costitutivo dell’intera
fattispecie sarebbe costituito solo ed esclusivamente dal rilascio del permesso di
costruire, divenendo sufficiente la mera adesione del proprietario cedente in
qualsiasi modo manifestata, anche attraverso una mera sottoscrizione apposta
sull’istanza di permesso di costruire o, ancor più semplicemente, sugli estratti
plano-volumetrici allegati al progetto ed alla domanda medesima.
Secondo un indirizzo giurisprudenziale ormai risalente, sarebbe necessario che
il proprietario cedente manifesti espressamente la sua adesione al trasferimento
mediante un atto d’obbligo, non ritenendo sufficiente a perfezionare il
meccanismo traslativo detta sottoscrizione, proprio perché inidonea alla tutela
delle ragioni dei terzi in quanto non aventi accesso ai registri immobiliari.
In senso parzialmente diverso, altro indirizzo giurisprudenziale, di stampo
amministrativo, ha, al proposito, affermato che, pur essendo legittima la
richiesta da parte dell'amministrazione comunale di un atto d'obbligo unilaterale,
non appare, invero, necessaria la sua trascrizione nei registri immobiliari, dal
momento che la tutela delle ragioni dei terzi estranei discende dalla semplice
annotazione del vincolo negli atti amministrativi del Comune.
La limitazione edificatoria di un lotto e la conseguente espansione dell’altro
deriverebbe, insomma, esclusivamente dal provvedimento amministrativo,
divenendo, così, irrilevante per la pubblica amministrazione, in primo luogo,
l’intervento eventuale di un accordo tra le parti, privo di qualsivoglia effetto sul
completamento dell’iter di rilascio del permesso di costruire e, in secondo,
anche tutte le vicende successive all’eventuale stipulazione del contratto di
cessione.
L’esigenza di salvaguardia dell’interesse pubblico sotteso all’intero
procedimento non deve però far dimenticare la necessità di tutela dell’interesse
delle parti a conformare un assetto negoziale per loro satisfattivo mediante
l’espressione di un consenso libero e cosciente e, nel contempo, rispettoso delle
regole, dei principi e dell’interesse dei terzi a conoscere il trasferimento di
cubatura attraverso il regime della pubblicità immobiliare.
Non è possibile, infatti, reputare sufficiente a tale scopo la mera sussistenza di
provvedimenti amministrativi che legittimino lo spostamento della cubatura da
un fondo all’altro, ancorché contenenti clausole che diano atto del trasferimento
stesso.
La sottoscrizione della documentazione amministrativa, come sostenuto da più
parti della dottrina, non può mai surrogare e sostituire la predisposizione di
strumenti negoziali, coscienti e volontari, che stiano a presidio del
corrispondente assetto avente carattere squisitamente amministrativistico.
Né, peraltro, la scarsa o nulla considerazione del ruolo giocato in materia
dall’attività negoziale privata permetterebbe di comprendere come la pubblica
amministrazione possa consentire un effetto giuridico così importante quale il
trasferimento di volumetria, che, incidendo profondamente sulle facoltà del
proprietario che subisce la minorazione di capacità edificatoria del proprio lotto,
non può immaginarsi perfezionato sulla base di una non formale adesione in
qualità di cedente.
E’ stato, infatti, sostenuto che nel caso di specie non può prescindersi da un vero
e proprio accordo contrattuale tra le parti, dal momento che qualsiasi atto
dispositivo di un bene richiede sempre il pieno consenso del legittimo titolare
espresso nelle forme richieste affinché possa considerarsi valido ed efficace.
Pertanto, occorre affermare, in definitiva, che un corretto assetto negoziale è,
senza dubbio, espressione dell’accordo intercorso tra cedente e cessionario e
non può allora che precedere giuridicamente e logicamente l’intervento della
pubblica amministrazione.
Indipendentemente, insomma, dalle vicende legate allo svolgimento della
successiva fase amministrativa, la funzione del negozio è quella di creare il
vincolo sui beni e di soddisfare l’interesse dei privati a realizzare il più possibile
l’assetto negoziale condiviso in merito ai fondi. Certamente, non determina il
trasferimento di cubatura in assenza del provvedimento amministrativo, ma
garantisce la creazione del vincolo di inedificabilità, il quale, benché risultato
solo parziale, sarà opponibile erga omnes mediante la trascrizione.
In conclusione, può affermarsi che il negozio di diritto privato si inserisce
nell’ambito del procedimento amministrativo dal quale deriverà, quale effetto
finale, il rilascio del permesso di costruire cd. maggiorato secondo le regole
biunivoche tra diritto privato e diritto pubblico, nel senso che tale ultimo
permesso di costruire potrà essere rilasciato al proprietario del lotto ricevente
solo qualora sia stato stipulato in suo favore un negozio traslativo di volumetria
nei limiti dell’interesse pubblico alla salvaguardia sostanziale del bene territorio.
La complessità di un esatto e soddisfacente inquadramento dogmatico dei diritti
edificatori discende, poi, anche dal fatto che le operazioni circolatorie
prospettate si pongono sull’esatto confine tra diritto amministrativo e diritto
civile, atteso il preponderante coinvolgimento del diritto urbanistico tale da
garantire al permesso di costruire un’indubbia rilevanza.
Chi, tuttavia, sulla scorta di tale considerazione, ritiene che oggetto dei
trasferimenti di cubatura non siano posizioni di diritto ma interessi legittimi tesi
all’ottenimento del titolo abilitativo, relega immeritatamente l’indagine
civilistica in secondo piano, atteso che la responsabilità ermeneutica impone di
distinguere il momento antecedente al rilascio da quello successivo. Di
conseguenza, non può negarsi al titolare del diritto edificatorio una posizione
meritevole di assoluta tutela e considerazione già prima di tale rilascio, dal
momento che, come attenta dottrina ha avuto modo di affermare, soltanto chi
disponga di un titolo idoneo a comprovare la detta titolarità sarà legittimato
all’avanzamento della relativa istanza. Titolo che proietta indiscutibilmente la
vicenda su un piano di riconoscimento proprio del diritto civile... [a cura dell'autore]