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dc.contributor.authorRinaldi, Alessandro
dc.date.accessioned2017-09-08T10:50:38Z
dc.date.available2017-09-08T10:50:38Z
dc.date.issued2016-05-25
dc.identifier.urihttp://hdl.handle.net/10556/2461
dc.identifier.urihttp://dx.doi.org/10.14273/unisa-861
dc.description2014 - 2015it_IT
dc.description.abstractThe history of the principle of judge’s liability is connoted by a never-ending – political and social, rather than doctrinaire - debate, concerning its function, its field of application, its limits and its basis. From the Aristotelic notion of isonomy, intended as the substantial equality between those who judge and those who are judged, that represented the foundation of modern conception of judicial liability, the legal/ideological progress moved to those jusnaturalistic philosophical tendencies that have affirmed the principle, transformed – through the centuries – in an undeniable dogma, of the sole disciplinary liability of the judge. Therefore, professional liability and disciplinary liability are the “pure model” we necessarily have to move from to initiate the analysis of modern judicial liability. Disciplinary liability’s dogma, raised upon the fertile humus of German philosophical doctrines, in a political-historical context aimed to the creation of an absolute State, managed to spread throughout the other legal Systems. The historical recognition cannot help but focus on the Italian system, examining the diachronic evolution of this institute from the Middle Ages to the dispute of the seventies/eighties, before the pertinent referendum. Then, the statute n. 117/88, shaping a renewed discipline of this subject, contemplates the hypothesis of judge’s liability (fraud; gross negligence; refusal of justice); it establishes the subjective field of application; regulates the procedure for compensation of damages towards the State and the reimbursement rights toward the judge, waiving the ordinary discipline of Aquilian liability, ex article 2043 c.c. A primary role, in the latest reform concerning judge’s civil liability, has been played by the intervention of European jurisprudence. The Court of justice has deemed the Italian discipline contrary to the communitarian law, in connection both to the exclusion of compensability of the damages deriving from the interpretation of juridical norms-or from the evaluation of fact and evidences - and the prevision of State’s liability only in regard to the cases implying the presence of fraud or gross negligence, in the hypothesis that stands a precise violation of communitarian law. The legislator in 2015, in order to suit our system to the indication arrived from EU’s Court of justice, has sorted out the discipline, renewing the “Vassalli Reform”. Statute n. 18/2015 has introduced certain significant innovation, pushing itself even beyond factual prescriptions come from the Court of justice, to redesign and extend the boundaries of judges’ liability. Mostly because of those changes, statute n.117/118 – such modified by the aforementioned renewal – seems to be placed in contrast with our Constitution and certain prescription of European judges, for it sanctions an automatic and necessary – if not direct – liability of this institutional figure. Moreover, the Judicial liability’s topic tangles with the other forms of responsibility foreseen by our legal system for the judges. Furthermore, the comparative analysis allows the possibility of realizing, about the discipline of judges’ civil liability, the similarities and differences in the midst of the various European legal systems. In conclusion, also due to the aforesaid comparative study, the system of judge’s civil liability doesn’t turn out, with the needed limitations depending on the peculiarity of this essential mansion, to be a mere and empty privilege, but an unavoidable safeguard of magistrature’s independence and – more than everything else –of citizens’equality in front of the Law. [edited by author]it_IT
dc.description.abstractLa storia del principio di responsabilità del giudice è caratterizzata da un mai sopito dibattito, politico e sociale prima ancora che dottrinale, in ordine alla sua funzione, al suo ambito di applicazione, ai suoi limiti e al suo fondamento. Dal concetto aristotelico di isonomìa, inteso quale eguaglianza sostanziale fra giudicante e giudicati, da cui deriva la moderna concezione di responsabilità del giudice, si è passati alle correnti filosofiche di stampo germanico che hanno affermato il principio, che è assurto a vero e proprio dogma, della sola responsabilità disciplinare del giudice. Responsabilità professionale e responsabilità disciplinare sono quindi i due “modelli puri” da cui prendere le mosse per l’analisi della moderna responsabilità civile dei magistrati. Il dogma della responsabilità disciplinare nato nell’alveo delle dottrine filosofiche germaniche, in un contesto storico-politico volto alla creazione di uno Stato assoluto, si propagò in tutti gli ordinamenti europei. L’esempio spagnolo è paradigmatico: la responsabilità disciplinare divenne il più importante strumento di controllo sull’operato della magistratura, rispetto alla quale le altre due forme di responsabilità, penale e civile, rimasero relegate, come negli altri ordinamenti europei dell’epoca, ad un piano secondario di importanza in forza dell’incorporazione della magistratura nell’apparato statuale. Il più rilevante esempio di compromesso fra i due, fino ad allora opposti, modelli puri venne realizzato in Francia dal legislatore napoleonico che, al fianco dello strumento della prise à partie, introdusse una forma di responsabilità disciplinare, in ottica pubblicistica e con finalità repressive e di controllo. La ricognizione storica dell’istituto non può non soffermarsi sull’ordinamento italiano, analizzando l’evoluzione della disciplina della responsabilità civile del giudice dal medioevo fino al dibattito pre-referendario degli anni ’70-’80. Nel codice di procedura civile del 1940 l’istituto de quo venne inserito nella parte generale e disciplinato dagli artt. 55, 56 e 74. Con l’avvento della Costituzione repubblicana nel 1948 l’organizzazione della magistratura trovò definitivamente fondamento negli artt. 101- 113 del titolo IV, in cui vennero affermati due nuovi principi: l’indipendenza e l’autonomia della magistratura. Tali principi non possono però giustificare una totale assenza di responsabilità del giudice; in sostanza, la responsabilità civile del giudice non può essere esclusa tout court, ma può essere legittimamente e costituzionalmente limitata, in forza di un bilanciamento tra i principi di responsabilità e indipendenza. Con il passaggio da una visione sanzionatoria della responsabilità ad una prospettiva solidaristica e vittimologica, la nuova disciplina introdotta dalla legge n. 117 del 1988, alla luce del positivo esito referendario, segna definitivamente il passaggio dalla responsabilità del giudice a quella dello Stato-giudice. La legge n. 117/88 detta una nuova disciplina speciale della materia, prevedendo le ipotesi di responsabilità del magistrato (dolo, colpa grave e diniego di giustizia), fissando l’ambito soggettivo di applicazione, disciplinando il procedimento per il risarcimento del danno nei confronti dello Stato e l’azione di rivalsa nei confronti del magistrato, il tutto in deroga alla ordinaria disciplina sulla responsabilità aquiliana di cui all’art. 2043 c.c. Novità di maggior rilievo della nuova disciplina è la previsione di una responsabilità diretta ed esclusiva dello Stato in luogo della responsabilità diretta e concorrente del magistrato presente nella previgente disciplina. Fin dal momento della sua entrata in vigore, la legge Vassalli è stata aspramente criticata in ordine alla sua incoerenza rispetto al risultato referendario. È stato diffusamente sostenuto che tale disciplina fosse idonea ad assicurare ai magistrati una sostanziale immunità e ad impedire una tutela risarcitoria effettiva in favore del cittadino danneggiato, anche alla luce dei dati statistici sulla sua pressoché nulla applicazione. Un ruolo decisivo in ordine all’ultima riforma della responsabilità civile del giudice è stato giocato dall’intervento della giurisprudenza europea. La Corte di giustizia ha dichiarato la disciplina italiana contraria al diritto comunitario in relazione sia all’esclusione della risarcibilità dei danni derivanti da un’interpretazione delle norme giuridiche o da una valutazione dei fatti e delle prove sia alla limitazione della responsabilità dello Stato ai soli casi di dolo o colpa grave del giudice nell’ipotesi in cui sussista una violazione manifesta del diritto comunitario. La dottrina italiana, anche alla luce di questi orientamenti, è tornata a dibattere sulla questione, così approdando a più proposte di riforma della legge ordinaria prevalentemente orientate in ordine al rafforzamento della responsabilità personale del giudice. Va sottolineato, però, come le pronunzie della Corte di giustizia non abbiano toccato né il sistema misto della legge Vassalli, strutturato sulla responsabilità diretta dello Stato e sulla responsabilità indiretta del magistrato in sede di rivalsa, né le condizioni e le modalità dell’azione di rivalsa. Il legislatore nel 2015, anche al fine di adeguare l’ordinamento italiano alle indicazioni della Corte di giustizia dell’Unione europea, è intervenuto novellando la legge Vassalli. La legge 18/2015 ha introdotto alcune importanti novità, probabilmente spingendosi anche oltre quanto effettivamente prescritto dalla Corte di giustizia, al fine di ridisegnare e ampliare le ipotesi di responsabilità dei magistrati. La prima rilevante novità è costituita dalla nuova e più ristretta delimitazione dell’ambito di operatività della clausola di salvaguardia. La legge, inoltre, ridefinisce le ipotesi di responsabilità del magistrato per colpa grave. Altra novità di assoluto rilievo è quella relativa all’azione di rivalsa dello Stato nei confronti del magistrato, che è stata resa obbligatoria. Ultima importante novità è l’eliminazione del filtro endoprocessuale costituito dal giudizio di ammissibilità della domanda giudiziale. In ragione soprattutto di queste modifiche la legge 117/88, così come modificata dalla novella 18/2015, sembra porsi in contrasto con i principi della nostra Carta costituzionale e con le prescrizioni dei giudici europei, in quanto prevede ora una responsabilità - se non diretta – automatica e necessaria del magistrato. La tematica della responsabilità civile si intreccia necessariamente con le altre forme di responsabilità del giudice previste dal nostro ordinamento. In primo luogo, se non si può affermare la sussistenza di una vera e propria responsabilità politica dei magistrati, un ruolo in senso lato politico è certamente svolto dall’Associazione Nazionale Magistrati e dalle sue correnti in forza della posizione di primazia che occupano in seno al Consiglio Superiore della Magistratura. Per quanto attiene alla responsabilità penale, nell’ordinamento giuridico italiano, a differenza di altri ordinamenti europei, non è prevista una disciplina speciale per i magistrati. La responsabilità amministrativo-contabile, inoltre, è una forma di responsabilità che deriva dal danno erariale causato alla pubblica amministrazione dal comportamento attivo od omissivo di amministratori e dipendenti pubblici, compresi i magistrati, nell’esercizio delle loro funzioni. In ultimo luogo la responsabilità disciplinare che, con la “legge Castelli”, n. 150/2005, così come modificata dalla l. 269/2006, la cd. “legge Mastella”, è stata improntata alla tipizzazione degli illeciti e all’obbligatorietà dell’azione disciplinare da parte del Procuratore generale presso la Corte di Cassazione. La responsabilità disciplinare, ora non più “modello puro” alternativo alla responsabilità civile, si pone in un binario parallelo alla stessa e risponde alla diversa finalità, necessaria, di sanzionare il magistrato per una serie di fatti illeciti sul piano disciplinare. L’analisi comparativa, infine, consente di cogliere similitudini e differenze tra le discipline dei principali ordinamenti europei in materia di responsabilità civile dei magistrati. Il sistema francese appare informato ad un maggiore garantismo rispetto a quello italiano, in quanto tutela l’indipendenza della magistratura attraverso la previsione di una sola ipotesi, peraltro molto restrittiva, in cui lo Stato, tenuto di regola in via diretta ed esclusiva al risarcimento, può facoltativamente rivalersi sul singolo magistrato responsabile per faute personnelle. L’ordinamento spagnolo è certamente quello che, con la Ley Orgánica del Poder Judicial del 1985, si era mostrato meno garantista per la magistratura, aprendo ad una vera e propria responsabilità diretta e personale dei giudici, poiché accanto alla responsabilità diretta dello Stato era prevista la possibilità per il danneggiato di agire direttamente in giudizio contro il magistrato responsabile per dolo o colpa grave. Il legislatore spagnolo è stato chiamato, però, sulle spinte del diritto unionale, a uniformarsi agli altri ordinamenti europei eliminando le ipotesi di responsabilità diretta dei magistrati, riconducendo l’intero sistema ad un’unica forma di responsabilità, ossia quella diretta dello Stato. In conclusione, anche alla luce dell’analisi storica e comparativa, il sistema della responsabilità civile del magistrato, con le necessarie limitazioni in forza della peculiarità della funzione svolta, deve considerarsi non un vuoto privilegio di casta, ma un presidio a tutela dell’indipendenza della magistratura e, soprattutto, dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. [a cura dell'autore]it_IT
dc.language.isoitit_IT
dc.publisherUniversita degli studi di Salernoit_IT
dc.subjectResponsabilitàit_IT
dc.subjectCivileit_IT
dc.subjectMagistratoit_IT
dc.titleLa responsabilità civile del magistratoit_IT
dc.typeDoctoral Thesisit_IT
dc.subject.miurIUS/02 DIRITTO PRIVATO COMPARATOit_IT
dc.contributor.coordinatoreStanzione, Pasqualeit_IT
dc.description.cicloXIV n.s.it_IT
dc.contributor.tutorApicella, Domenicoit_IT
dc.identifier.DipartimentoScienze Giuridicheit_IT
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