La struttura del reato nella giurisprudenza dei tribunali penali internazionali
Abstract
Questa Tesi di Dottorato su: “La struttura del reato nella giurisprudenza dei
Tribunali penali internazionali”, dal punto di vista organizzativo, è suddivisa in tre parti.
La prima parte è dedicata allo sviluppo del diritto penale internazionale. Questo
“darwinismo” è legato all’evoluzione dei Tribunali penali internazionali, da Norimberga ai
cosiddetti Tribunali ibridi o internazionalizzati istituiti dalle Nazioni Unite, caratterizzati
dalla natura “mista”, interna ed internazionale, della loro struttura e del diritto applicabile.
Questa parte si sofferma anche sul diritto penale calato nel contesto della giustizia
internazionale nell’ottica della dottrina dal secondo dopoguerra ad oggi ed espone
minuziosamente i problemi da risolvere in tale ambito: difficoltà nell’applicare le norme ai
casi specifici, difficoltà nell’applicare il diritto penale internazionale in un contesto
plurilingue (il caso Krnojelac); e, ultimo, non per ordine di importanza, i giudici internazionali
come creatori di diritto: il caso Vasiljevic ha enfatizzato questa funzione («Il principio
nullum crimen sine lege non impedisce ad un tribunale di interpretare e chiarire gli elementi
di un certo crimine, né impedisce il progressivo sviluppo della legge ad opera del
Tribunale»).
La giurisprudenza dei Tribunali penali internazionali per la ex-Jugoslavia ed il
Ruanda, ha facilitato l’evoluzione del diritto penale internazionale, sia attraverso nuove
interpretazioni delle norme esistenti, sia attraverso lo sviluppo di nuove e più appropriate
norme.
Questa prima parte, nel suo capitolo finale, descrive in modo dettagliato i crimini
internazionali: crimini di guerra, crimini contro l’umanità, genocidio e la definizione del
crimine di aggressione dopo la Conferenza di Revisione dello Statuto di Roma svoltasi a
Kampala.
La seconda parte affronta l’argomento centrale della Tesi.
Questa parte compie il tentativo di comparare gli elementi costitutivi del reato
secondo la teoria tripartita, con la struttura dei crimini internazionali. Tuttavia, dai reati di
diritto comune ai crimini internazionali, si riscontrano cambiamenti strutturali e sussiste il
forte pericolo di confusione nel trasporre la relativa terminologia nel contesto
internazionale senza spiegarne l’esatto significato.
La struttura tripartita consta di tre elementi fondamentali: fatto tipico (comprensivo
dell’elemento materiale e dell’elemento soggettivo, consistente nel nesso psichico tra azione
ed evento), antigiuridicità e colpevolezza.
La locuzione “fatto tipico” costituisce la più aderente traduzione del termine
corrente Tatbestand.
A proposito dell’antigiuridicità, l’art. 31 dello Statuto della Corte penale
internazionale che contempla “Motivi di esclusione della responsabilità penale” usa il
termine “motivi” in luogo di “defenses”. Questa scelta terminologica è stata
deliberatamente compiuta per evitare a priori le interpretazioni che il common law ne offre.
Allo stesso tempo, la norma non distingue tra cause di giustificazione e cause di
esclusione della colpevolezza, almeno non esplicitamente. In realtà accorpa fattori di
esclusione della responsabilità penale che tradizionalmente, nei sistemi di civil law,
convergono nelle cause di giustificazione (legittima difesa), o nelle cause di esclusione della
colpevolezza (infermità mentale, intossicazione) o in entrambe (“necessity” come causa di
giustificazione, “duress” come causa di esclusione della colpevolezza).
Il bilanciamento degli interessi, è principio organizzativo centrale sotteso alla
categoria delle cause dei giustificazione e l’accezione tradizionale dello stato di necessità
richiede che l’interesse tutelato superi di gran lunga l’interesse leso. Premesso che per i
crimini di guerra, i crimini contro l’umanità ed il genocidio, non possono mai essere
invocate cause di giustificazione, è difficile applicare il principio del bilanciamento degli
interessi alla Makrokriminalität.
A proposito delle cause di esclusione della responsabilità penale, la Tesi espone in
modo dettagliato i casi Erdemovic ed Eav.
In particolare, Erdemovic affermò di avere commesso i crimini di guerra di cui era
accusato sotto costringimento psichico. Il Tribunale ha ritenuto che non fosse invocabile
una norma di diritto internazionale consuetudinario, né fossero invocabili i “principi
generali del diritto” a causa delle numerose divergenze tra le norme nazionali in merito.
Infine, è prevenuto a “considerazioni politiche” per risolvere il caso sul piano
internazionale. La sentenza Erdemovic è giunta alla conclusione che la causa di
giustificazione invocata dall’imputato non può essere ammessa per chi si sia reso colpevole
della morte di civili innocenti.
La sentenza della Camera d’Appello è stata accompagnata dall’opinione
dissenziente del giudice Antonio Cassese che ha sottolineato l’importanza del principio del
nullum crimen sine lege e sostenuto che le “considerazioni politiche” sono estranee al mandato
del Tribunale.
La colpevolezza psicologica si atteggia anch’essa in modo peculiare nel contesto
internazionale.
Un esame approfondito della giurisprudenza e dei tentativi di codificazione della
parte generale del diritto penale internazionale e della struttura dei crimini internazionali,
riconduce alla sistematica bipartita, articolata nella dicotomia anglo-americana actus resusmens
rea.
Tale sistematica è stata recepita dalla struttura di base dello Statuto della Corte
penale internazionale ed è questo modello di common law a prevalere nella strutturazione del
diritto sostanziale.
Il diritto penale internazionale ha adottato il principio della responsabilità penale
individuale, emancipandosi dalla responsabilità collettiva. Tuttavia, ciò non significa che
tale responsabilità sia divenuta irrilevante. Numerose sono le teorie sulla responsabilità
penale: la responsabilità concorsuale, la responsabilità per fatto altrui, la responsabilità
oggettiva, la responsabilità derivante dall’appartenenza ad una organizzazione criminale e
dall’adesione al relativo piano criminale, la responsabilità del superiore gerarchico.
Una evidente evoluzione è legata alla responsabilità da comando: è stato affermato
che anche il controllo de facto esercitato sui subalterni in assenza di una formale investitura
di potere, è sufficiente per affermare la responsabilità del superiore gerarchico.
È difficile scorporare la responsabilità individuale nel contesto della
Makrokriminalität e la Joint Criminal Enterprise (dal caso Tadic alla giurisprudenza della Camere
straordinarie cambogiane) è diventata una necessità, insieme ad altre aberranti “costruzioni”
giuridiche: in merito, dopo le sentenze della Corte penale internazionale (i casi Lubanga,
Katanga, Ngudjolo Chui, Al Bashir e Bemba Gombo), si sono aperti nuovi scenari giuridici.
La colpevolezza normativa è un settore trascurato del diritto penale internazionale.
Tuttavia, la giurisprudenza in materia è interessante e costituisce spunto per osservazioni
critiche. In particolare, lo scopo della ricerca è verificare se le esigenze repressive
prevalgano nel sistema della giustizia penale internazionale.
La casistica comprende i casi Žigic (intossicazione volontaria), Landžo e Jelisic
(presunta infermità mentale parziale), Erdemovic, Došen e Todorovic (disturbo post-traumatico
da stress).
Žigic riteneva che l’amputazione dell’indice subita, le complicanze post-operatorie, le
permanenza in ospedale e la ripresa dell’assunzione di alcool correlata ad una dipendenza
precedente, avessero determinato un quadro clinico, temporalmente a ridosso della
commissione dei fatti riportati nei capi di accusa, tale da giustificarne la valutazione come
circostanza attenuante e dunque la mitigazione della pena.
Ma la giurisprudenza del Tribunale è ferma sul disconoscere all’intossicazione
volontaria valore di circostanza attenuante.
Nel caso Landžo la difesa ha compiuto molte manovre analoghe a quelle compiute
per pervenire alla soluzione di un cubo di Rubik per addurre una parziale infermità mentale.
In particolare, il caso Jelisic enfatizzato il rapporto tra disturbi della personalità e
colpevolezza. La sua personalità, che presenta tratti borderline, antisociali e narcisistici, e che
è caratterizzata allo stesso tempo da immaturità e desiderio di compiacere i superiori,
esercita un ruolo determinante nella commissione dei crimini.
La parole ed il comportamento di Goran Jelisic, essenzialmente rivelano disturbi della
personalità. In conclusione la Camera di Prima Istanza ha ritento che gli atti di Goran Jelisic
non esprimessero l’intento genocidiario di distruggere in tutto o in parte un gruppo. Ma
solo il genocidio è stato escluso: la Camera di Prima Istanza ha affermato la colpevolezza di
Jelisic in ordine alle violazioni di leggi e costumi di guerra, saccheggio, omicidio, trattamenti
crudeli ed altri atti inumani.
Per quanto riguarda il disturbo post-traumatico da stress, nel caso Došen, la difesa ha
addotto che, nel periodo considerato, l’imputato sarebbe stato sottoposto a numerosi
traumi sfociati in un disturbo post-traumatico da stress: dalla morte del suo primo figlio alla
situazione a Keraterm.
La Difesa addusse altresì circostanze personali rilevanti ai fini della mitigazione della
pena: Damir Došen aveva 25 anni all’epoca dei fatti ed aveva un basso livello di istruzione;
aveva perso il suo primo figlio, immediatamente prima dello scoppio del conflitto; suo
padre era morto nel febbraio 2000, tre mesi dopo il suo arresto; sua moglie era disoccupata
e viveva con i loro due figli, di 8 anni e 16 mesi, e con sua madre, che soffriva di gravi
disturbi mentali; infine, la sua famiglia viveva a Prijedor in difficili condizioni.
La conclusione del Dott. Lecic-Tosevski era che durante il periodo considerato era
evidente nell’imputato una reazione acuta allo stress successivamente degenerata in
sindrome post-traumatica da stress, a causa della morte del suo primo figlio e della
situazione a Keraterm.
Il secondo perito, il Dott. Najman, non ha affrontato la specifica questione della
ridotta capacità mentale, ma ha rilevato in Došen vulnerabilità, depressione e insicurezza
dopo la morte del suo primo figlio. Il Tribunale concluse che la condizione di Damir Došen
al momento in cui commise i crimini, non potesse dare luogo ad una mitigazione della
pena.
Nel caso Todorovic, la Camera Preliminare dispose la perizia ad opera di due esperti:
la conclusione del Dott. Soyka fu l’esclusione in Stevan Todorovic di disturbi mentali gravi o di
qualsiasi altro disturbo psichiatrico nel periodo considerato, con l’esclusione, dunque, di
una eventuale ridotta capacità; la conclusione del Dott. Lecic-Tosevski era che Stevan Todorovic
non fosse affetto da alcun disturbo di personalità, ma solo da stress post-traumatico a causa
del pesante bombardamento della zona e la morte di parenti ed amici cui era conseguito
l’abuso di alcool.
La Camera di Prima Istanza rileva l’esclusione, ad opera di entrambi gli esperti, di
disturbi della personalità dell’imputato, con una diversa conclusione, però, a proposito dello
stress post-traumatico, che, non facendo registrare unanimità di vedute, non poteva
assurgere a circostanza attenuante.
In generale, i Tribunali penali internazionali privilegiano esigenze repressive.
La terza parte si concentra sul rapporto tra la dimensione interna e quella
internazionale del diritto penale. Tale rapporto, dalle prime convenzioni in materia penale,
alla “reattività” nazionale all’istituzione dei Tribunali ad hoc, fino all’adeguamento allo
Statuto della Corte penale internazionale è intessuto di condizionamenti reciproci, con al
centro l’immagine di una norma incriminatrice-matrioska, che sembra essere l’unico
éscamotage interpretativo per sopperire all’ampio tasso di astrattezza e genericità che
caratterizza le norme penali internazionali.
Un rapporto rappresentato con efficaci immagini della dottrina: dalla
“penetrazione” del diritto internazionale nel diritto interno, agli “influssi” e “reflussi” fra
ordinamento internazionale ed ordinamenti interni, al treno del’esecuzione nazionale
staccato dalla locomotiva della legge che ha autorizzato la ratifica dello Statuto di Roma.
Fino alla desolazione della polvere dei cassetti ministeriali in cui giacciono disegni di legge
mai divenuti tali, ultimo tratto di un quadro desolante che, fra esigenze e resistenze,
raffigura un non-sistema segnato dall’ineffettività ed una Giustizia che può attendere.
In questo quadro desolante è riscontrabile una certezza: la giurisprudenza ha
prodotto norme dal contenuto ibrido, per metà nazionale, per metà internazionale, una
sorta di viso di Giano, emblema del diritto penale internazionale.
Ma è impossibile trasporre il diritto penale nazionale nel contesto internazionale
senza i dovuti adattamenti. Nel giudizio Erdemovic, l’energica opinione dissenziente del
Giudice Cassese ha sottolineato l’importanza di considerare il contesto, respingendo
trasposizioni acritiche e meccaniche.
Le osservazioni conclusive sono critiche: la giustizia penale internazionale è
perfettibile e, in questi rilievi finali, è doveroso citare autorevole dottrina: “Ogni inizio di
forme superiori di vita è incerto e difettoso”.[a cura dell’autore]