La domanda educativa in Luigi Giussani
Abstract
La questione educativa rappresenta la cifra riassuntiva della personalità e del pensiero di don Luigi Giussani: se è vero che fu illuminato pensatore e acuto studioso di questioni filosofiche e teologiche, il nodo focale del suo impegno ruotò intorno all’educazione, che egli concepì come percorso “sapienziale”1, atto a realizzare pienamente la sostanza della persona umana, ad aprirla alla libertà, alla responsabilità, alla comprensione integrale, perché integralmente sperimentata, dell’essere e del mondo, come “comunicazione di sé e del proprio modo di rapportarsi con il reale”2.
Riprendendo e sviluppando originalmente la prospettiva del teologo austriaco Jungmann3, il sacerdote di Desio affrontò il problema dell’educazione nei termini di una “ introduzione alla realtà totale”4, ove la realtà è concepita come avvenimento che pro-voca, nel senso etimologico del termine, chiama, invita ad una ricerca inesausta del significato, sollecita all’interpretazione del “tutto in cui siamo immersi e che l’uomo è chiamato a identificare”5.
Nel suo approccio, la necessità di recuperare le ragioni ed il fondamento dell’educazione affonda in una lucida ed ancora attualissima analisi della temperie socio-culturale dell’età moderna, che gli appare caratterizzata da una “antropologia della dissoluzione”: in altri termini, la riduzione e la mortificazione – compiute in nome di un’idea dell’uomo come “padrone del proprio destino” – delle categorie di ragione, libertà, coscienza, cultura, che sono state progressivamente svuotate del loro senso profondo.
Indubbiamente, Giussani esprime compiutamente, in modo sistematico ed argomentato, la sua concezione dell’educazione nella sua opera forse più conosciuta, Il rischio educativo; tuttavia, per comprendere appieno la prospettiva delineata nel volume, è necessario da un lato collocarla all’interno delle coordinate fondamentali del suo pensiero, caratterizzato da un originale personalismo, dall’altro rintracciare le riflessioni sulla dinamica educativa che compaiono praticamente in tutta la sua produzione saggistica, oltre che nelle conversazioni con studenti raccolte in vari volumi e in testi di interviste comparsi su riviste e quotidiani.
In primo luogo, ci è sembrato fondamentale chiarire gli aspetti portanti della riflessione di don Giussani sull’esperienza cristiana come avvenimento che illumina ogni spazio della vita individuale,
1 G. Chiosso, I significati dell’educazione. Teorie pedagogiche e della formazione contemporanee, Mondadori Università, Milano 2009, p. 126.
2 L. Giussani, Il rischio educativo. Come creazione di personalità e di storia, SEI, Torino 1995, p. 84.
3 Cfr. J.A. Jungmann, Christus als Mittelpunkt religiöser Erziehung, Freiburg i.B. 1939, p. 20.
4 L. Giussani, Introduzione alla realtà totale, Atti della Conferenza del 20 giugno 1985 a Milano, in “Quaderni di Tracce”, n. 2, febbraio 2006, p. 4.
5 G. Chiosso, I significati dell’educazione, cit., p. 126.
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ed esplorare le coordinate della sua antropologia, che mette al centro la persona umana come realtà sostanziale, caratterizzata dalle dimensioni della temporalità, della comunione e dell’incontro, della trascendentalità. Come si accennava più sopra, quello giussaniano è un personalismo che ha una sua cifra di originalità, giacché fonda la struttura antropologica della persona su quella che egli definisce l’esperienza elementare6: un’esperienza sorgiva, il cui nucleo è costituito da “un complesso di esigenze e di evidenze con cui l’uomo è proiettato dentro il confronto con tutto ciò che esiste”7 e che lo sostengono nella comprensione della realtà nella sua interezza, in primo luogo l’esigenza di giustizia, di verità, di bellezza, di amore.
Se si connette tale concezione antropologica con la declinazione giussaniana dei concetti di ragione (che supera la concezione illuministica di verificabilità, misurabilità, controllabilità per configurarsi come “uno sguardo aperto, una finestra spalancata su una realtà nella quale esso non ha mai finito di entrare”8) e ragionevolezza, che delineano nella loro interrelazione una singolare prospettiva gnoseologica, risulta agevole comprendere la peculiare concezione dell’io “in azione”: la persona si forma come tale nell’impatto con la realtà, da cui si sprigiona un invito alla ricerca, una tensione all’interrogazione e alla decifrazione del senso nei segni del mondo e dell’esistenza.
Di qui la particolare rivisitazione, nel pensiero di Giussani, del concetto di analogia, sul quale ha attirato l’attenzione soprattutto Angelo Scola, rintracciandone le ascendenze teoriche nella prospettiva di von Balthasar9. Di qui, soprattutto, l’idea, ricca di suggestioni, di mendicanza: il porsi del soggetto nei termini di autocoscienza sistematica e critica del reale, attraverso un impegno infaticabile di domanda, di ricerca, di curiosità, nel confronto continuo con le esigenze originarie, caratterizza l’uomo come mendicante, l’uomo cioè che chiede supplichevolmente la verità.
Costitutivamente incompiuto e caratterizzato dalla mendicanza, l’uomo è però, nella sua sostanza di persona, libero: la libertà, nella interpretazione giussaniana, va intesa non come assenza di legami e quindi dominio dell’istinto ed autoaffermazione incondizionata, espressione di un atteggiamento relativista, ma come “energia di adesione al reale, all’essere, adesione ad altro da sé, che compie, fa crescere, costruisce e realizza la nostra persona”10.
Lo sviluppo della persona è dunque, in sé, percorso di educazione e di auto-realizzazione: ed è alla luce delle categorie teoriche di riferimento identificate che è possibile approfondire la prospettiva pedagogica dell’Autore.
6 Cfr., L. Giussani, Il senso religioso. Vol. I del PerCorso, Rizzoli, Milano 1997, p. 8.
7 L. Giussani, Il senso religioso, cit., p. 8.
8 Ibidem.
9 Cfr. A. Scola, Un pensiero sorgivo, Marietti, Genova-Milano 2004, pp. 40 sgg.
10 L. Giussani, La coscienza religiosa dell’uomo moderno, Jaca Book, Milano 1985, p. 31.
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Giussani identifica nel legame con la tradizione uno dei fattori originali delle dinamiche dell’evento educativo. Essa costituisce il punto di partenza per promuovere una potenzialità di giudizio e quindi di critica, per introdurre il giovane alla scoperta della realtà e al suo significato; si configura come “ipotesi esplicativa della realtà”11, vissuta in primis dall’educatore, che è chiamato incessantemente a renderne ragione, e poi offerta alla libertà dell’educando, che, nel paragone con il proprio cuore, verifica la corrispondenza e la ragionevolezza della proposta ricevuta.
Il secondo fattore del processo educativo si identifica nell’autorità, che rappresenta il luogo e la condizione dello svolgersi della relazione educativa e dell’ipotesi offerta all’educando, giacché costituisce il “criterio di sperimentazione dei valori che la tradizione mi dà”12. Per Giussani il motore dell’educazione è il “maestro”, che attraverso la sua testimonianza, connotata dalla coerenza, dalla lealtà e dall’impegno, accompagna il giovane nel suo percorso esperienziale, offrendogli elementi per comprendere e giudicare la realtà.
Condizione inevitabile di un’autentica educazione è la verifica personale dell’ipotesi esplicativa della realtà13: occorre sollecitare il giovane a paragonare personalmente la proposta ricevuta con la propria esperienza elementare, ovvero con il bisogno di significato, di bellezza, di verità, di giustizia, di felicità che abita il cuore di ciascuno; occorre introdurlo alla comprensione della realtà suscitando il lui il desiderio di indagarne il senso ed il valore in un percorso di avventura e di scoperta che lo vedono attivamente impegnato. Il giovane, dunque, ha la responsabilità di verificare personalmente la proposta ricevuta dal maestro “nell’impegno esistenziale come condizione per una genuina esperienza di verità, e quindi per una convinzione”14.
Al centro dell’esperienza educativa si collocano due persone, quella dell’educatore, come testimone di una cultura comunicata, e quella dell’educando come presenza che si impone nella sua unicità, nella sua singolarità e nella sua ricchezza, che vive la passione della ricerca della verità e, quindi, della libertà. Entrambi sono coinvolti in un rapporto, esito di un incontro fra due libertà che, nell’impegno continuo e incessante con la realtà, si espongono alla prova del rischio. Lo specifico pedagogico del pensiero di Giussani va rinvenuto, allora, in una categoria capace di sintetizzare dialetticamente gli altri fattori dell’avvenimento educativo, cioè la tradizione, l’autorità, la verifica: è ciò che l’Autore definisce rischio educativo, delineando, in questo senso, la posizione rischiosa dell’agire educativo a cui è esposto l’uomo nella sua essenziale libertà.
Da un lato l’esperienza del rischio tocca la persona dell’educatore, che è chiamato in prima persona ad esporsi “prendendosi cura” dell’altro, mostrandogli innanzi tutto il proprio modo di
11 L. Giussani, Il rischio educativo, cit., p. 21.
12 Ivi, p. 29.
13 Ivi, p. 31.
14 Ivi, p. 32.
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vivere il reale, incarnando nella sua persona l’ipotesi di senso offerta alla libertà dell’educando. Dall’altro il giovane, nell’incontro con il maestro, è provocato “all’incontro personale e sempre più autonomo con la realtà che lo circonda […], poiché è proprio dal rischio del confronto che si genera nel giovane una sua personalità nel rapporto con tutte le cose – che la sua libertà cioè ‘diviene’”15.
L’originalità del contributo pedagogico offerto dal sacerdote di Desio è da ravvisare indubbiamente nell’aver delineato un metodo, nel senso etimologico del termine, non ridotto a tecnica o precettistica astratta ma per così dire “extrametodico”. Un metodo, egli amava ripetere, non è una tecnica, fatta di passaggi automatici, ma la strada per raggiungere la meta, i passi che bisogna compiere, e come bisogna farli, per arrivare a uno scopo”16.
Tale metodo, che, come si è detto, trova nella dinamica autorità/tradizione/libertà il suo asse portante, funge da guida lungo la strada dell’introduzione alla realtà totale. La “totalità” è per così dire la parola-chiave del processo, in quanto ne indica la direzione ed il fine: come spiega don Giussani, totalità “significa lo sviluppo di tutte le strutture di un individuo fino alla loro realizzazione integrale e, nello stesso tempo, l’affermazione di tutte le possibilità di connessione attiva di quelle strutture con la realtà”17. È chiarissimo che si tratta non di due fenomeni distinti, uno riguardante l’uomo e le sue dimensioni, e l’altro riguardante il suo rapporto con il mondo: è il medesimo fenomeno che investe l’uomo in tutta la sua estensione, che sviluppa la totalità del suo essere nella relazione di scoperta e di esperienza del reale in vista del conseguimento della consapevolezza integrale di sé e del mondo.
Educare significa accompagnare all’incontro con la realtà totale, sostenere l’altro nel percorso di costruzione della propria identità e della propria responsabile libertà, guidare nella scoperta dell’interrogazione quale senso dell’esistenza, indicare le tracce che svelano e insieme continuamente alimentano il mistero dell’essere. Ciò comporta per il “maestro” la capacità di mettersi integralmente in gioco nel rapporto con l’altro come relazione incarnata e vivente, nel pro-getto e nel rischio dell’educazione: un progetto ed un rischio per affrontare i quali sono necessarie “scienza”, cioè cultura e rapporto con la tradizione, e “coscienza”, una dimensione etica ed utopica che si sostanzia di gratuità, disponibilità, tensione all’ulteriorità, speranza. “La grande tenacia, o la grandezza d’animo, dell’educatore è questa indefatigabile, continua riproposta, ‘in spem contra spem’, sperando contro ogni evidenza”18. [a cura dell'autore]