AIPH 7 – Agli albori della PH scolastica in Italia
Data
2020Autore
Betti, Carmen
Bravi, Luca
Oliviero, Stefano
Bellacci, Francesco
Metadata
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Sull’onda della contestazione studentesca, nel mondo universitario, scolastico e in
specie in quello pedagogico, si è aperta a partire dagli anni Settanta una stagione di serrato
confronto, oltre che sui ruoli e sui cosiddetti rapporti di potere in ambito educativo, anche
sui contenuti, sulle metodologie, le didattiche delle discipline. Il focus si appuntava il
più delle volte, non a caso, sui contenuti che, si diceva, venivano dispensati dai docenti
come dai libri di testi, in modo autoritario, ovvero proposti come indiscutibili, pur essendo
ideologicamente orientati, tali cioè da riflettere il solo punto di vista della classe dominante,
con l’ovvio intento di conformazione. Contro tale linea di tendenza e contro il potere delle
cosiddette vestali del sapere, ovvero i docenti, si invocava, con forza, una didattica che
ponesse al centro dell’insegnamento/apprendimento degli studenti, ma anche degli alunni
in genere, la ricerca, come nuovo modus operandi, più idoneo a contrastare l’opacità e la
“manipolazione” dei contenuti.
Si auspicava, in breve, l’utilizzazione di molteplici fonti e l’attivazione di una rete di
contatti e di interlocutori esterni alla scuola o all’università, intellettuali ma anche gente
comune, così da avere maggiori garanzie di autenticità, imparando nel contempo a dubitare
della cosiddetta oggettività dei libri e del sapere codificato altrove. Non a caso La ricerca
come antipedagogia di Francesco De Bartolomeis, uscito nel marzo del 1969, nel gennaio
del 1970 era già alla sua terza edizione, diventando un vero e proprio bestseller, fatto quanto
mai raro per un testo di pedagogia. Sull’onda di questa denuncia molte prassi didattiche
furono all’epoca riviste, da una minoranza inizialmente ma in un processo in progress che,
fra le altre innovazioni, porterà a richiedere e ad ottenere di sostituire i libri di testo con
materiale librario alternativo, ad accogliere nella scuola la storia e la memoria di soggetti
un tempo interdetti, come i partigiani, ritenuti insieme ai sindacalisti, divisivi, ma anche
rappresentanti delle minoranze - rom, ebrei, malati di mente e via dicendo - in un processo
di apertura e di democratizzazione della istituzione scolastica e dell’università, ma anche
dei saperi, quello storico in primis. L’intento è in sintesi quello di ricostruire il processo di riconsiderazione e di
pubblicizzazione della storia che non è stato, soprattutto all’inizio, esente da errori o
fraintendimenti, ma che ha permesso di sperimentare, sul campo, il significato di comunità
educante, nella scuola come nell’università, in un clima senza dubbio più propizio alla
crescita, alla diffusione e alla democratizzazione della cultura in generale e della storia in
particolare.