Uno squarcio sulla tela dell’oggettività. Studi sul mito in Carlo Emilio Gadda
Abstract
To establish the terms within which the relationship between the myth and Carlo
Emilio Gadda develops is a complex operation, both because it is in itself difficult to
disentangle oneself from the writer's innumerable ‘messes’, and because, considering
the positivistic and rationalistic nature of the Engineer, it would seem obvious to affirm
that the author's thought is to be considered essentially 'anti-mythical'. However,
observing the development of his 'philosophizing by narrating' starting with the
Giornale di guerra e di prigionia (1915-1919) and continuing with the Racconto
italiano di ignoto del Novecento (1924-1925), the Meditazione milanese (1928-1929)
and the writings gravitating around Eros and Priapo (1944-1945), we will be able to
identify in the myth not only the object of an almost continuous and uninterrupted
dialogue, but also an inescapable presence at the base of the development of every
gnoseological process that involves the human being.
Even if in the literary production of the writer the myth continues to be prey to a
demystifying desecration - in line, moreover, with the framework of the twentieth
century - it is undeniable that it reveals a deeply more complex nature: in the wake of
Platone, Gadda has always tried to assert the supremacy of logos over mythos, so that
reality could be somehow controlled and ordered by keeping the chaotic irruption of
'monsters' at bay, but then he ended up admitting the need for a 'compromise', justified
by the complementarity of the two components, since in the same measure vital afflatus
of every human being. In this regard, we find it extraordinarily significant that the task
of affirming this consideration at the end of this long 'meditative path' on the myth is
given to the Gaddus most famous alter ego, that is, the commissioner Ingravallo,
protagonist of Pasticciaccio (1957), who, although professing to be a rationalist since
the beginning of the novel, confronting himself daily with a magical-pagan
anthropological reality, will be forced to admit how the myth represents an autonomous
cognitive path to access the understanding of reality. [edited by Author] Fissare i termini entro i quali si sviluppa il rapporto fra il mito e Carlo Emilio Gadda è
un'operazione complessa, sia perché è di per sé difficile districarsi fra gli innumerevoli
‘brogliacci’ dello scrittore, sia perché, considerata la natura positivistica e
razionalistica dell’Ingegnere, parrebbe scontato affermare che il pensiero dell'autore
sia da considerarsi essenzialmente ‘anti-mitico’. Tuttavia, osservando lo sviluppo del
suo ‘filosofar narrando’ a cominciare dal Giornale di guerra e di prigionia (1915-
1919) e proseguendo poi con il Racconto italiano di ignoto del Novecento (1924-1925),
la Meditazione milanese (1928-1929) e gli scritti gravitanti attorno al pianeta di Eros e
Priapo (1944-1945), potremo individuare nel mito non solo l'oggetto di un dialogo
pressoché continuo e ininterrotto, ma anche una presenza ineludibile alla base dello
sviluppo di ogni processo gnoseologico che coinvolge l’essere umano.
Anche se nella produzione letteraria dello scrittore milanese il mito continua a essere
preda di una profanazione demistificante – in linea, del resto, con il quadro del
Novecento –, è innegabile che esso riveli una natura profondamente più complessa:
sulla scia di Platone, Gadda ha da sempre cercato di affermare la supremazia del logos
sul mythos, affinché la realtà potesse essere in qualche modo controllata e ordinata
tenendo a bada la caotica irruzione dei ‘mostri’, ma poi è finito per ammettere la
necessità di un ‘compromesso’, giustificato dalla complementarietà delle due
componenti, poiché nella stessa misura afflato vitale di ogni essere umano. A tal
proposito, troviamo straordinariamente significativo che il compito di affermare tale
considerazione a conclusione di questo lungo ‘percorso meditativo’ sul mito sia proprio
dato all’alter ego più famoso del Gaddus, ossia il commissario Ingravallo, protagonista
del Pasticciaccio (1957), il quale, pur professandosi razionalista fin dall’inizio del
romanzo, confrontandosi quotidianamente con una realtà antropologica magicopagana, sarà costretto ad ammettere come il mito rappresenti un percorso conoscitivo
autonomo per accedere alla comprensione del reale. [a cura dell'Autore]