Le orazioni de lege agraria di M. Tullio Cicerone
Abstract
Il lavoro di ricerca si è strutturato su tre direttrici distinte, ma complementari:
1. Quadro storico
Si è proceduto all'elaborazione di un quadro storico-legislativo, al fine di delineare valore e significato
delle tre orazioni ciceroniane. In particolare, sulla base del proemio del secondo discorso, si è tracciato
un excursus sul consolato di Cicerone, mettendo in evidenza come l'oratore valuti l'importanza della
propria affermazione elettorale e del proprio ruolo di consul popularis e di homo novus,
rappresentandosi immediatamente - le orazioni agrarie costituiscono il primo atto ufficiale di Cicerone
console - come figura politica a servizio del popolo in netta contrapposizione con Rullo, proponente,
secondo Cicerone, di una riforma agraria a favore di una ristretta élite. Si è cercato infine di rimarcare
come l'affermazione elettorale di Cicerone non fosse il risultato dell'appoggio e del favore delle classi
popolari, ma, in realtà, frutto di una serie di compromessi e accordi con la classe degli ottimati.
Un ulteriore approfondimento è stato dedicato ad una breve rassegna storica degli interventi legislativi
in materia di riforma agraria susseguitisi a Roma dalle origini fino all'età ciceroniana, soffermandosi in
particolare sulla riforma graccana: l'esame della figura e dell'operato dei Gracchi è infatti necessario
per poter comprendere e analizzare, nella successiva fase di commento, il giudizio estremamente
ambiguo di Cicerone nei confronti della principale riforma agraria a Roma.
2. Tradizione e fortuna del testo
Relativamente all'indagine sulla tradizione manoscritta delle tre orazioni, il lavoro fa costante
riferimento all'edizione di Marek per i tipi Teubner del 1983. Si è quindi descritta la tradizione
manoscritta seguendo la canonica suddivisione in due rami distinti: il Germanico, che ha come
capostipite il codice Berolinensis Latinus (E), probabilmente databile tra il XII e il XIII secolo, e
l'Italico, che avrebbe come capofamiglia il Lingonicus (L), scoperto dal Bracciolini in un convento
presso Langres nel 1417 e probabilmente risalente al XII secolo: tale codice è però andato perduto, ma
ne è stata rinvenuta una copia autografa di Poggio nel codice Vaticanus latinus 11458 (V). Proprio su
questo esemplare ci si è soffermati in merito alla vexata quaestio delle due subscriptiones, presenti nel
manoscritto e attribuite a tal Statilio Massimo (cfr. a tal proposito i contributi di Zetzel 1973 e Pecere
1982), proponendo un ragionato status quaestionis preliminare alla formulazione di una prima ipotesi
originale sull'identificazione di Statilio Massimo e sulla relativa cronologia. A tal fine mi sono avvalso
di tre testimonianze nelle quali compare il nome di Statilio:
a) due inscrizioni attribuite a Statilio sul colosso di Memnone;
b) un'iscrizione rinvenuta a Tebe con la menzione di uno Statilio Massimo ideologus e
contemporaneo al re Filopappo;
c) un distico inciso su una piramide e conservato nel corpus degli scolii a Clemente
Alessandrino.
Queste tre testimonianze sono collocabili tutte nelle stessa epoca, ossia il II sec. d. C., e provengono
dalla medesima area geografica, l'Egitto: è difficile però stabilire se l'emendator menzionato dalle due
subscriptiones sia davvero identificabile con lo Statilio Massimo menzionato nelle testimonianze
riportate, essendo la consonanza dell'attività di emendator con l'erudizione e le inclinazioni poetiche
del personaggio citato l'unico elemento a sostegno di tale ipotesi.
3. Commento
Scopo ultimo del lavoro di tesi è stato quello di fornire un commento delle tre orazioni, che tenesse
conto della strategia retorico-comunicativa adottata da Cicerone. Nelle prime due orazioni, infatti (la
terza appare essere un riassunto delle argomentazioni impiegate nelle precedenti), si è evidenziato
come tale strategia muti al mutare del destinatario e del contesto in cui il discorso viene ad essere
pronunciato: nella prima orazione, diretta ai colleghi senatori, l'oratore attacca la riforma agraria di
Rullo, soffermandosi, in modo particolare, sui poteri speciali conferiti al collegio dei decemviri:
proprio le prerogative straordinarie concesse a questi magistrati rappresentano una minaccia per gli
interessi degli ottimati, le cui proprietà terriere rischiavano di essere confiscate. Nel secondo discorso,
rivolto al popolo, Cicerone enfatizza il proprio ruolo di consul popularis, aggettivo, quest'ultimo, dalla
doppia valenza di "eletto dal popolo" o "al servizio del popolo". La strategia retorica dell'oratore mira,
nel secondo discorso, a creare un netto contrasto tra la propria figura di console popolare e democratico
e coloro che sono, in realtà, falsi amici del popolo stesso e mirano a realizzare gli interessi propri di
una ristretta cerchia di persone. Cicerone spinge il popolo a ritenere la riforma di Rullo una minaccia
alla propria libertà: a tal fine l'elogio di Tiberio e Caio Gracco, quali campioni assoluti e indiscussi
della "popolarità", appare strumentale alla strategia di captatio benevolentiae e non pienamente
sincero, come si evince dal confronto con alcuni passi del de officiis.
Il commento a queste specifiche orazioni ha offerto, inoltre, una valida opportunità di raffronto tra il
Cicerone oratore e il Cicerone teorico della retorica: si è rimarcata, ad esempio, la reale corrispondenza
tra le funzioni pragmatiche attribuite alle varie sezioni (proemio, argomentazione e perorazione) e
quelle teorizzate da Cicerone nel de inventione e nel de oratore. [a cura dell'autore]