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dc.contributor.authorGarzillo, Pietro
dc.date.accessioned2013-11-18T11:33:33Z
dc.date.available2013-11-18T11:33:33Z
dc.date.issued2011
dc.identifier.citationGarzillo, Pietro. “Pics, Fingerprints and Pigmies: appropriazioni, narrazioni e attribuzioni della criminologia britannica dell’Ottocento.” «Testi e linguaggi» 5(2011):123-139. [Studi monografici. Letteratura e scienza, a cura di M. Bottalico, M.T. Chialant, L. Perrone Capano]en_US
dc.identifier.issn1974-2886en_US
dc.identifier.urihttp://hdl.handle.net/10556/792
dc.description.abstractNel periodo finale dell’era vittoriana nell’ambito della letteratura inglese si moltiplicarono gli esempi di crime narratives, gettando anche le basi di quello che sarebbe poi stato identificato come il genere della detective fiction. Il secolo vittoriano aveva altresì visto il fiorire e il codificarsi – grazie al dominio britannico di terre e mari e allo stimolo di nuove tecnologie di indagine – di nuovi campi del sapere: l’esplorazione, la geografia, la cartografia avevano, infatti, presto potuto avvalersi del nuovo strumento fotografico per produrre documentazioni considerate “oggettive” e lo stesso accadde poi con le nuove discipline dell’etnografia e dell’antropologia, che cominciarono ad illustrare con foto le proprie descrizioni narrative o si avvalsero di esse per misure antropometriche. Sul finire del secolo erano state dunque poste le premesse per la codificazione della criminologia: misurare e classificare un corpo umano poteva ben servire per prevenire e controllare il crimine e garantire sicurezza ai cittadini e ai confini dell’Impero. Havelock Ellis pubblicò il suo The Criminal nel 1890, Francis Galton pubblicò Finger prints nel 1892, ma la sperimentazione della classificazione dei criminali tramite impronte digitali era stata già da tempo avviata nelle colonie indiane. Di tutto ciò, e di come l’Impero britannico poteva servirsi delle scienze per costruire e definire l’identità dell’alterità criminale, si trova traccia nelle storie di Sherlock Holmes: e se è vero che le crime narratives sono culturalmente marcate e possono servire per far emergere diversità culturali, ciò è particolarmente vero in queste storie prodotte all’apice della gloria della cultura vittoriana. In esse fatti e finzione, diritto e scienze sociali, medicina e antropologia si intrecciano senza soluzione di continuità in un prodotto letterario di genere. Possono descrivere – ma anche creare – identità e sottoculture criminali. Tipici sono i casi dei pigmei delle isole Andamane, degli indiani, dei thugs. In questo intervento ci si propone di analizzare, a partire primariamente da alcune storie di Sherlock Holmes ma anche da altri esempi coevi di detective stories, come antropologia, antropometria, fotografia, criminologia, medicina entrino a far parte di un gioco letterario teso a soddisfare i gusti del pubblico vittoriano creando figure e miti di un patrimonio dell’immaginario occidentale che persistono ancora oggi.en_US
dc.format.extentP. 123-139en_US
dc.language.isoiten_US
dc.publisherRoma : Caroccien_US
dc.sourceUniSa. Sistema Bibliotecario di Ateneoen_US
dc.titlePics, Fingerprints and Pigmies: appropriazioni, narrazioni e attribuzioni della criminologia britannica dell’Ottocentoen_US
dc.typeArticleen_US
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