Cambiamento organizzativo e gestione delle risorse umane: il caso Agenzia delle Entrate
Abstract
La scelta che la Pubblica Amministrazione italiana è chiamata a compiere,
in questo scorcio di inizio millennio, è tra la rigida stabilità di un passato
già sperimentato e la flessibile mutevolezza di un futuro ancora da scoprire.
Modelli di gestione burocratici e gerarchici da un lato, logiche di quasi -
mercato e orientamento ai risultati, dall’altro.
In mezzo, la nascita del “modello per agenzie”, sulla scia del New Public
Management di derivazione anglosassone.
Un modello basato sui criteri di flessibilità e autonomia gestionale,
fortemente voluto per raggiungere la tanto attesa separazione tra ruoli
politici e funzioni amministrative, che si è rivelato un incredibile strumento
di innovazione, capace - forse - di traghettare, senza eccessivi scossoni, il
settore pubblico verso i tanto agognati principi di efficienza, efficacia,
economicità.
La consapevolezza che in ambienti molto dinamici e turbolenti ogni
organizzazione (sia essa un’impresa, una Pubblica Amministrazione o un
sistema territoriale locale) debba costantemente reagire o anticipare
continue spinte al cambiamento, contrastare minacce, sfruttare opportunità,
per non correre il rischio di soccombere ad una competizione sempre
maggiore, è ormai consolidata dall’esperienza.
Il futuro è pieno di incertezze, la pianificazione a lungo termine cede il
passo a strategie volte a gestire al meglio, nel presente, le relazioni di
scambio con il proprio ambiente di riferimento; la “ricerca dell’eccellenza”
passa attraverso l’instabilità, l’innovazione permanente, la messa in
discussione continua delle routine e delle soluzioni sperimentate in passato.
Se, dunque, il futuro non è prevedibile, tuttavia è possibile anticiparlo,
contribuire attivamente a generarlo, lavorando sulle capacità degli uomini e
delle organizzazioni a fronteggiare l’incertezza.
Per decifrare il futuro, insomma, occorre elaborare schemi nuovi per
interpretare il presente, per muoversi in una realtà che appare sempre più
complessa. Come ben dimostrano le organizzazioni di successo, quelle cioè
che hanno saputo costruire questo impegno collettivo, il cambiamento è
ormai una dimensione strutturale del divenire piuttosto che, come si è
creduto per molto tempo, un fenomeno occasionale ed eccezionale.
In questo contesto, le domande classiche che, per lungo tempo, hanno
caratterizzato gli studi organizzativi, del tipo “qual è il modello
organizzativo più adatto ad un determinato prodotto o servizio?” oppure
“qual è il modello organizzativo più adeguato ad una determinata strategia,
ad un determinato ambiente?”, sono state progressivamente soppiantate da
altri quesiti, più urgenti e pertinenti. Oggi il problema è comprendere in che
modo le organizzazioni sono in grado di apprendere, cioè di cambiare sé
stesse e il loro modo di interagire con il proprio ambiente. A conferma di questa evoluzione del pensiero organizzativo, è sufficiente
constatare come l’attenzione degli studiosi e degli esperti di organizzazione
muova sempre più dalle strutture ai processi, dalle forme organizzative ai
sistemi di relazione, dalle componenti hard a quelle soft.
Se la ricerca dell’eccellenza si fonda sempre più su competenze e capacità
immateriali, il problema organizzativo diventa essenzialmente come
sviluppare tali capacità. Ed è un problema che chiama in causa, al tempo
stesso, una riformulazione della teoria manageriale e un affinamento della
pratica, con conseguente loro progressivo avvicinamento.
Il tema dell’apprendimento organizzativo è oggetto di studio già da alcuni
decenni all’interno della teoria organizzativa e manageriale: tutta la
letteratura sulla learning organization, sviluppatasi nel corso degli ultimi
venti anni, pone il problema della “intelligenza” delle organizzazioni, della
loro capacità di leggere e interpretare il flusso dell’esperienza per attivare
costantemente nuovi schemi cognitivi e nuovi sistemi di pensiero e azione.
È proprio l’aderenza dell’organizzazione alla propria esperienza, lo
sviluppo di una conoscenza concreta sulla propria azione (l’organizzazione
che si osserva) a garantire lo sviluppo di questa “intelligenza”
organizzativa, a creare, in ultima analisi, le condizioni per l’apprendimento. .. [a cura dell'Autore]