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dc.contributor.authorRusso, Salvatore
dc.date.accessioned2011-11-04T08:35:07Z
dc.date.available2011-11-04T08:35:07Z
dc.date.issued2011-05-07
dc.identifier.urihttp://hdl.handle.net/10556/162
dc.description2009 - 2010en_US
dc.description.abstractLa scelta che la Pubblica Amministrazione italiana è chiamata a compiere, in questo scorcio di inizio millennio, è tra la rigida stabilità di un passato già sperimentato e la flessibile mutevolezza di un futuro ancora da scoprire. Modelli di gestione burocratici e gerarchici da un lato, logiche di quasi - mercato e orientamento ai risultati, dall’altro. In mezzo, la nascita del “modello per agenzie”, sulla scia del New Public Management di derivazione anglosassone. Un modello basato sui criteri di flessibilità e autonomia gestionale, fortemente voluto per raggiungere la tanto attesa separazione tra ruoli politici e funzioni amministrative, che si è rivelato un incredibile strumento di innovazione, capace - forse - di traghettare, senza eccessivi scossoni, il settore pubblico verso i tanto agognati principi di efficienza, efficacia, economicità. La consapevolezza che in ambienti molto dinamici e turbolenti ogni organizzazione (sia essa un’impresa, una Pubblica Amministrazione o un sistema territoriale locale) debba costantemente reagire o anticipare continue spinte al cambiamento, contrastare minacce, sfruttare opportunità, per non correre il rischio di soccombere ad una competizione sempre maggiore, è ormai consolidata dall’esperienza. Il futuro è pieno di incertezze, la pianificazione a lungo termine cede il passo a strategie volte a gestire al meglio, nel presente, le relazioni di scambio con il proprio ambiente di riferimento; la “ricerca dell’eccellenza” passa attraverso l’instabilità, l’innovazione permanente, la messa in discussione continua delle routine e delle soluzioni sperimentate in passato. Se, dunque, il futuro non è prevedibile, tuttavia è possibile anticiparlo, contribuire attivamente a generarlo, lavorando sulle capacità degli uomini e delle organizzazioni a fronteggiare l’incertezza. Per decifrare il futuro, insomma, occorre elaborare schemi nuovi per interpretare il presente, per muoversi in una realtà che appare sempre più complessa. Come ben dimostrano le organizzazioni di successo, quelle cioè che hanno saputo costruire questo impegno collettivo, il cambiamento è ormai una dimensione strutturale del divenire piuttosto che, come si è creduto per molto tempo, un fenomeno occasionale ed eccezionale. In questo contesto, le domande classiche che, per lungo tempo, hanno caratterizzato gli studi organizzativi, del tipo “qual è il modello organizzativo più adatto ad un determinato prodotto o servizio?” oppure “qual è il modello organizzativo più adeguato ad una determinata strategia, ad un determinato ambiente?”, sono state progressivamente soppiantate da altri quesiti, più urgenti e pertinenti. Oggi il problema è comprendere in che modo le organizzazioni sono in grado di apprendere, cioè di cambiare sé stesse e il loro modo di interagire con il proprio ambiente. A conferma di questa evoluzione del pensiero organizzativo, è sufficiente constatare come l’attenzione degli studiosi e degli esperti di organizzazione muova sempre più dalle strutture ai processi, dalle forme organizzative ai sistemi di relazione, dalle componenti hard a quelle soft. Se la ricerca dell’eccellenza si fonda sempre più su competenze e capacità immateriali, il problema organizzativo diventa essenzialmente come sviluppare tali capacità. Ed è un problema che chiama in causa, al tempo stesso, una riformulazione della teoria manageriale e un affinamento della pratica, con conseguente loro progressivo avvicinamento. Il tema dell’apprendimento organizzativo è oggetto di studio già da alcuni decenni all’interno della teoria organizzativa e manageriale: tutta la letteratura sulla learning organization, sviluppatasi nel corso degli ultimi venti anni, pone il problema della “intelligenza” delle organizzazioni, della loro capacità di leggere e interpretare il flusso dell’esperienza per attivare costantemente nuovi schemi cognitivi e nuovi sistemi di pensiero e azione. È proprio l’aderenza dell’organizzazione alla propria esperienza, lo sviluppo di una conoscenza concreta sulla propria azione (l’organizzazione che si osserva) a garantire lo sviluppo di questa “intelligenza” organizzativa, a creare, in ultima analisi, le condizioni per l’apprendimento. Se questo è il contesto, per la Pubblica Amministrazione il tema del cambiamento organizzativo è cruciale in quanto, proprio nel settore pubblico, appare anacronistica la persistenza di una cultura rigidamente formale, burocratica e autoreferenziale, a fronte delle mutate esigenze dei cittadini - in termini di offerta e qualità dei servizi - e degli stessi sistemi amministrativi, volti al recupero di efficienza, alla razionalizzazione delle strutture, ad una maggiore competitività con altri potenziali concorrenti pubblici o privati, anche in ragione della scarsità di risorse. Benché se ne parli e si invochi a gran voce, il cambiamento appare al tempo stesso “necessario e impossibile”, per sottolineare, con una felice espressione di Crozier, un paradosso di difficile soluzione: da un lato la necessità di cambiare per evitare il blocco e la crisi del sistema, dall’altro l’incapacità di farlo, di trovare la direzione giusta, il sentiero efficace. Nella P.A., da alcuni anni, è in atto un movimento irreversibile che spinge ogni singola Amministrazione a darsi un’identità, a valorizzare la propria specificità e il proprio ruolo nel territorio di competenza, mettendo in atto processi di trasformazione interna e di apertura/adattamento al proprio ambiente. Chi governa le Amministrazioni pubbliche appare spesso impegnato nel difficile compito di costruire un “sistema aziendale”, nel dare cioè all’ente una missione specifica, dei confini organizzativi più precisi, degli strumenti di gestione manageriale, delle regole che possano orientare l’insieme verso obiettivi comuni. E questa azione si scontra molto spesso con le logiche e gli assetti organizzativi preesistenti, con tradizioni, culture, assetti strutturali, ruoli e professionalità sedimentati, che faticano ad acquisire e a tradurre nei comportamenti nuove modalità d’azione. L’ondata di riforme, che negli anni ‘80 e ‘90 ha investito le Amministrazioni pubbliche in Italia, impone una riflessione relativa all’impatto del cambiamento organizzativo sul personale pubblico. Alla base dei tentativi di riorganizzazione degli apparati dello Stato, diretti anche ad una gestione più razionale e parsimoniosa delle risorse umane, vi è il connubio tra le esigenze di risanamento finanziario e la diffusione dei paradigmi manageriali. Il successo e la sopravvivenza dei sistemi organizzativi complessi dipendono dalla capacità di attuare i cambiamenti necessari per fronteggiare, da un lato, l’evoluzione del contesto ambientale e normativo e, dall’altro, la domanda sempre più differenziata di servizi da parte dei cittadini. Il cambiamento è la condizione essenziale per la sopravvivenza e l’evoluzione dell’Amministrazione statale. Ed è proprio per questo che i processi di riorganizzazione, investendo in primis le persone all’interno di un’organizzazione, vanno gestiti e governati, soprattutto nelle componenti immateriali (atteggiamento, clima, ideologie, valori…) che caratterizzano, nel profondo, il modo d’essere e di operare di un’organizzazione pubblica, costituendone il tratto distintivo. L’adeguamento strutturale e strategico della P.A. all’evoluzione della società e dell’ambiente, esterno e interno, risulta allora fondamentale. La generale esigenza di cambiamento nasce dalla constatazione che i crescenti livelli di complessità, innovazione ed incertezza della P.A. richiedono una forte specializzazione del personale che deve essere valutato sulle performance e sulle competenze messe in campo. La gestione del cambiamento organizzativo configura un ambito privilegiato di interazione tra la visione tecnico-razionale e quella psicologica - sociale dell’organizzazione: è in questo che si produce una tensione per portare a sintesi istanze riconducibili a tematiche di grande respiro e complessità, come la competitività, l’innovazione, la leadership, l’apprendimento, la creatività, la cultura aziendale, la responsabilità, ecc.(1). Gli innumerevoli processi di riforma della P.A. rendono molto attuale il tema della gestione delle risorse umane durante il cambiamento e dei relativi strumenti per favorire l’integrazione e un elevato livello di motivazione. Il presente lavoro si pone l’obiettivo di indagare l’impatto del cambiamento organizzativo sul personale pubblico e l’applicazione di un modello innovativo di sviluppo e gestione delle risorse umane. Rappresenta il tentativo di descrivere e analizzare l’insieme dei processi di riorganizzazione e ristrutturazione avvenuti in seno al Ministero delle Finanze, a partire dal 1999, con la creazione degli uffici unici e, dal 2001, con l’istituzione delle Agenzie fiscali. Il lavoro di ricerca sul tema della gestione del personale a seguito di operazioni di cambiamento organizzativo ha origine dall’osservazione diretta del contesto avvenuta presso l’Agenzia delle Entrate, dall’analisi dei documenti aziendali e dai dati secondari relativi alle tre indagini svolte sul personale per calibrare - prima - e verificare - poi - le strategie di change management. Soffermandosi sulla complessa fase di transizione da Dipartimento delle Entrate ad Agenzia delle Entrate, la ricerca prova ad approfondire le logiche e gli strumenti di Human Resources Management utilizzati per favorire e accompagnare il cambiamento; tenta, inoltre, di ricostruire il ritratto di una P.A. in continua evoluzione, tra flessibilità manageriali e rigidità burocratiche, tra esigenze di ammodernamento e fenomeni di resistenza al mutamento, con l’attenzione sempre maggiore alla qualità dei servizi offerti e alla soddisfazione del cittadino. Alla luce di questo scenario, si è proceduto: · ad identificare i principali cambiamenti che l’Amministrazione finanziaria ha gestito per far fronte alle modificazioni della società e attuare le riforme previste dalla legge; · ad analizzare gli impatti che tali cambiamenti hanno avuto sui membri dell’organizzazione; · ad individuare i principali strumenti di change management e di Human Resources Management in grado di indirizzare positivamente le reazioni del personale e contribuire efficacemente al successo del cambiamento; · a verificare se la cultura organizzativa dell’Agenzia delle Entrate, a seguito del rilevante cambiamento organizzativo, è mutata o evoluta, oppure se il cambiamento è stato solo di facciata. In base all’analisi e seguendo il modello di Cartwright e Cooper (1993), si proverà a rilevare se c’è stato il passaggio da una “cultura organizzativa burocratico - ministeriale di ruolo” (role culture), ad una “cultura organizzativa più vicina ai paradigmi aziendali del New Public Management, tipica del compito e degli obiettivi” (task culture)(2); · a verificare empiricamente, attraverso varie proiezioni di dati e serie storiche, se un processo di riorganizzazione così forte e intenso abbia portato risultati concreti nella mission della nuova struttura. Se, cioè, si sia realizzato un effettivo aumento delle entrate tributarie, a personale sostanzialmente invariato (senza, cioè, un rilevante numero di nuove assunzioni rispetto ai pensionamenti). L'analisi è partita dalle più recenti teorie manageriali in materia di gestione del personale nei processi di cambiamento, realizzata attraverso lo studio di letteratura italiana e straniera sul tema della gestione del cambiamento e del personale di un’organizzazione. I termini “azienda”, “ente” e “organizzazione” si riferiscono, prevalentemente, alle Amministrazioni dello Stato. La descrizione del caso, frutto di un’attività sul campo condotta attraverso le tecniche dell’osservazione partecipante e dell’analisi di documentazione disponibile, prova a mettere in luce: · l’approccio utilizzato nella gestione dei diversi aspetti coinvolti nel processo di cambiamento; · il passaggio graduale che ha portato le Entrate da entità interna dipartimentale di un Ministero ad ente pubblico strumentale, non economico e indipendente; · il processo di gestione e sviluppo delle risorse umane nella nuova organizzazione agenziale attraverso la descrizione del processo di costruzione e di applicazione del modello delle competenze di McClelland (3). Il lavoro, quindi, analizza, in prospettiva diacronica, i mutamenti che si sono succeduti nell’ambito di un ramo della P.A. italiana, l’Amministrazione finanziaria, con un’analisi dei processi di cambiamento intercorsi con l’introduzione del modello delle Agenzie fiscali, passaggio obbligato nell’opera di riforma del settore, in termini di miglioramento dell’operatività gestionale e dei servizi erogati. Con i primi due capitoli si propone un excursus sulle principali teorie del cambiamento organizzativo e di gestione delle risorse umane in processi di transizione; con il terzo si illustra la metodologia della ricerca messa in campo; nel quarto si passa a descrivere il cambiamento che ha portato alla creazione delle Agenzie e il suo impatto sul personale attraverso il caso dell’istituzione dell’Agenzia delle Entrate, soffermandosi sui principali problemi da affrontare, sugli strumenti utilizzati per fare accettare e comprendere il cambiamento, sul mutamento culturale avvenuto tra le risorse umane. L’ipotesi di fondo è che il cambiamento abbia portato maggiore efficacia nell’azione dell’Agenzia, grazie anche ad un mutamento forte nella cultura organizzativa del personale transitato nella nuova organizzazione, con il passaggio da una cultura del “ruolo” ad una del “compito”. Dopo l’analisi del cambiamento e degli impatti sulle risorse umane e sulla cultura organizzativa, il lavoro descrive, nel quinto capitolo, la costruzione e l’applicazione del modello delle competenze quale leva di gestione e sviluppo del personale di un’Amministrazione pubblica “di nuova generazione” quale è l’Agenzia delle Entrate. Con le conclusioni vengono proposti alcuni spunti per possibili ricerche future e vengono riportate delle serie storiche a supporto dell’analisi svolta. In appendice, infine, viene proposta un’intervista al Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate della Campania.(1) G. Rebora, E. Minelli, Change Management. Come vincere la sfida del cambiamento in azienda, Etas libri, Milano, 2007. (2) S. Cartwright, C.L. Cooper, “The role of cultural compatibility in successful organizational marriage”, Academy of Management Executive, Vol. 7, 1993. (3) D. McClelland, “Testing for competence rather than for ‘intelligence’”, American Psychologist, n. 1/1973. [a cura dell'autore]en_US
dc.language.isoiten_US
dc.publisherUniversita degli studi di Salernoen_US
dc.subjectRisorse umaneen_US
dc.subjectCambiamento organizzativoen_US
dc.titleCambiamento organizzativo e gestione delle risorse umane: il caso Agenzia delle Entrateen_US
dc.typeDoctoral Thesis
dc.subject.miurSECS-P/10 ORGANIZZAZIONE AZIENDALEen_US
dc.contributor.coordinatoreAdinolfi, Paolaen_US
dc.description.cicloIX n.s.en_US
dc.contributor.tutorFrassetto, Gianfrancoen_US
dc.identifier.DipartimentoStudi e Ricerche Aziendalien_US
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