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dc.contributor.authorTurchetta, Gianni
dc.date.accessioned2021-03-31T14:29:45Z
dc.date.available2021-03-31T14:29:45Z
dc.date.issued2019
dc.identifier.citationTurchetta, Gianni. “Guardando Dürer, leggendo Stevenson: Sciascia, «Il cavaliere e la morte».” Sinestesie, XVII(2019): 493-499it_IT
dc.identifier.issn1721-3509it_IT
dc.identifier.urihttps://www.sinestesierivistadistudi.it/nel-quadro-del-novecento-2019/it_IT
dc.identifier.urihttp://elea.unisa.it:8080/xmlui/handle/10556/5156
dc.identifier.urihttp://dx.doi.org/10.14273/unisa-3305
dc.description.abstract“Il cavaliere e la morte” (1988) di Sciascia è un libro di grande intensità. In prima approssimazione segna il ritorno di Sciascia al giallo, quattordici anni dopo “Todo modo”. Ma, fin dall’avvio e dal paratesto, costruisce un gioco di rimandi particolarmente denso fra letteratura e immagine: qui, la celebre incisione di Dürer, “Ritter, Tod und Teufel” (1513), di cui il protagonista, un commissario di polizia chiamato emblematicamente Vice, possiede un esemplare in ufficio. Scritto quando già Sciascia sapeva di essere gravemente malato, “Il cavaliere e la morte” è un thriller metafisico e però al tempo stesso una sintetica Ars moriendi, caratterizzata da un laicismo radicale, che rifiuta sia la fede sia l’ateismo, mettendole però anche in cortocircuito con la morte delle ideologie di quegli anni. Alla collocazione emblematica della vicenda nel 1989, cioè in un futuro molto prossimo, fa riscontro d’altro canto l’assenza di determinazioni spaziali, a ribadire e accentuare la dimensione simbolica. Inoltre, il dissimulato ma pure ben percepibile autobiografismo del romanzo fa tutt’uno con la densità peculiare del suo tessuto intertestuale, dando luogo a una dimensione meta-narrativa dove il discorso sulla letteratura e quello sulla vita si mescolano. E così, proprio davanti alla morte Sciascia riesce sorprendentemente a parlarci non solo della felicità della lettura e della letteratura, ma anche della felicità del vivere, nonostante tutto.it_IT
dc.description.abstractSciascia’s ‘Il cavaliere e la morte (1988)’ is an intense book. Firstly, it marks Sciascia’s return to crime novel, fourteen years after ‘Todo modo’. However, since the beginning and paratext, it creates a particularly dense play of cross-references between literature and image: here, the famous Durer’s engraving, Ritter, Tod und Teufel (1513); the protagonist, a police inspector emblematically called Vice, holds a copy of the engraving in his office. Written when Sciascia was already aware of his bad health conditions, ‘Il cavaliere e la morte’ is a metaphysical thriller and –at the same time- a concise ‘Ars moriendi’ characterized by a radical laicism which refuses both faith and atheism, though questioning them with the death of the ideologies of those years. Despite the emblematic setting of the story in 1989 (that is, in a quite near future), there is no spatial determinations so as to stress the symbolic dimension. Moreover, the concealed yet perceptible autobiography of the novel is strictly intertwined with its intertextual composition; this causes a meta-narrative dimension where literature and life mingle. Thus, and precisely in front of death, Sciascia can surprisingly tell us about the happiness of reading and literature but also about the happiness of life, in spite of everything.it_IT
dc.format.extentP. 493-499it_IT
dc.language.isoitit_IT
dc.publisherAvellino : Associazione culturale Internazionale Sinestesieit_IT
dc.sourceUniSa. Sistema Bibliotecario di Ateneoit_IT
dc.subjectSciasciait_IT
dc.subjectArs moriendiit_IT
dc.subjectPunto di vista internoit_IT
dc.subjectRomanzo giallo metafisicoit_IT
dc.subjectInternal point of viewit_IT
dc.subjectMetaphysical thrillerit_IT
dc.titleGuardando Dürer, leggendo Stevenson: Sciascia, «Il cavaliere e la morte»it_IT
dc.typeArticleit_IT
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